RACCONTI & OPINIONI

Alcune riflessioni sulla piattaforma sociale che monopolizza l'"amicizia"


Facebook, il gigante totalitario che si ciba di voyeurismoL'emoticon, o faccina umana stilizzata in giallo, è di quelle con gli occhi fissi a palla e gli angoli della bocca all'ingiù per significare fastidio. Decoro a la page per il National UnFriend Day (NUD), la giornata nell'inimicizia, lanciato dal comico intrattenitore televisivo Jimmy Kimmel per il prossimo 17 novembre. Il popolare conduttore dell'omonimo show notturno dell'ABC (prima di andare a dormire gli statunitensi, invece di incancrenirsi con Porta a porta e Matrix, si fanno due risate con i talk-show di Kimmel, David Letterman e Jay Leno, n.d.r.) ha deciso che anche il sacro, intoccabile, tempio della giovialità interattiva di Facebook va profanato. Allo scattare della mezzanotte di mercoledì prossimo chi risponderà all'appello di Kimmel, cancellerà tutti quegli "amici" di Facebook che non si sono frequentati nella vita reale negli ultimi dieci anni. Tagliare i rami secchi, tornare al valore primario, concreto, in carne ed ossa, dell'amicizia tra esseri umani, prima che i social network ci trasformino definitivamente in impossibili ed impalpabili compagnoni di perfetti ed inutili sconosciuti. Kimmel, nel suo divertente annuncio pubblico qualche giorno fa, è stato a dir poco geniale. Ha pescato una tizia, sua presunta "amica" su Facebook, tal Gina Lovato, di cui ha letto gli ultimi incessanti post di una giornata tipo: "è ora del caffè"; "vorrei vedere Oprah Winfrey subito"; "il mio weekend è appena iniziato"; "è novembre, evviva!". Poi, con elegante eloquio, ha sostanzialmente ribadito un concetto chiave che ci si pone di fronte all'ipnotica pagina iniziale di Facebook: ma chi se ne frega di quello che fa Gina Lovato, io nemmeno la conosco. Ebbene, dal 17 novembre Gina non apparirà più sulla pagina Facebook di Kimmel e anche noi potremmo depennare i nostri anonimi Giovanni, Luigi, Andrea, o le nostre Patrizia, Chiara e Paola, con un semplice click. Dopo aver fatto questo, però, bisognerebbe fermarsi un attimo a riflettere. Bene l'appello di Kimmel, bene che venga da un comico, anche se da migliaia di chilometri di distanza, ma forse oltre al NUD si dovrebbe cominciare a fare un ragionamento più strutturale e profondo rispetto a Facebook. Una riflessione che parte proprio da quell'incredibile incipit che vedrete nel film di Fincher da venerdì in sala, dedicato all'inventore di Facebook. Marc Zuckerberg, infatti, non è stato di certo un benefattore dell'umanità, anzi. Si è semplicemente cibato dell'innato piacere voyeuristico, suo e delle folle di internauti, rispetto alle vite degli altri, a portata di click, imponendogli uno schema linguistico e filosofico entro il quale "ri"pensare liquidi e svuotati concetti di amicizia ed affetto per il prossimo. Se ci pensate bene, spesso Facebook finisce lì dov'è, dentro le sue pagine web. Gli eventi, gli incontri, i ragionamenti, le battute che ci appaiono su Facebook continuano a rimanere in secondo, terzo, quarto piano, rispetto a ciò che c'è scritto nell'home page di un qualsiasi sito web, nelle e-mail o telefonate che riceviamo. Facebook è una superficie piatta e piana, lobotomizzante, che ci toglie solo tempo ed attenzione rispetto alla concretezza di gesti e parole che potremmo compiere in una vera piazza, in un cinema, in un locale da ballo, in un'osteria. Banale? Banalissimo, ma perché accumuliamo decine di richieste d'amicizia, con fare bulimico, come se ci mancasse intimamente qualcosa o qualcuno? Ecco che Facebook e la sua totalitaria ideologia dell'amicizia in rete (le chat a confronto erano davvero la scoperta dell'America), comincia ad avere similitudini inquietanti con tutte quelle ciniche e arroganti propaggini che il consumismo neoliberista ci ha imposto, volenti o nolenti, come parametri di misurazione per la felicità delle nostre vite. Jaron Lanier nel suo libro You are not a gadget: a manifesto, ce l'ha anticipato da un abbondante annetto: "l'idea iniziale di internet era collegare la gente, oggi assistiamo all'isolamento delle persone". Lanier che è stato ingegnere informatico fin dai primi anni '80, proprio in quella Silicon Valley dei miracoli e degli sprechi (per far funzionare gli oltre 500 milioni di amici di Facebook ci vuole tanta di quell'energia californiana a carbone, quanto l'intero fabbisogno di Lombardia e Piemonte), tanto da farci capire che la personalizzazione di una pagina web o di un blog stanno lentamente scomparendo: "Con la formazione del Web 2. 0 si è verificata una forma di riduzionismo. La singolarità viene eliminata da questo processo che riduce a poltiglia il pensiero. Le pagine individuali che apparivano nella prima fase di Internet negli anni '90 avevano il sapore della persona che le faceva. MySpace preservava qualcosa di quel sapore, anche se era cominciato il processo di formattazione. Facebook è andato oltre organizzando la gente dentro identità a scelta multipla, mentre Wikipedia cerca di cancellare interamente il punto di vista. Se una chiesa o un governo facessero una cosa del genere lo denunceremmo come autoritario, ma se i colpevoli sono i tecnologi, allora sembra che tutto sia alla moda e inventivo". La trappola, a ben vedere, è scattata. Come del resto le sue fittizie e palesi scene di totalitarismo spicciolo e tergiversante. Vedi le censure di Facebook tanto sbandierate in rete: dalla cancellazione della pagina "Tutti devono sapere" dove si denunciavano gli effetti devastanti della riforma Gelmini; alla pagina "Ridateci la democrazia" dove si raccoglievano firme contro la legge elettorale Porcellum; passando dai casi individuali, di singoli utenti, bloccati nell'accesso alla loro pagina solo per aver scritto commenti o frasi non rientranti nelle categorie morali ed etiche degli amministratori californiani di "Faccialibro". Fumo negli occhi, perché il gigante così non si piega, anzi si rinforza. La censura è criticata, talvolta Facebook scende a più miti consigli, spesso le pagine ritornano in rete, ma Zuckerberg è sempre lì a far tintinnare il registratore di cassa, soprattutto dalle censure imposte. Invece che dire, beh non accetti quello che scrivo allora vai a quel paese farò in altro modo, Facebook nel momento stesso in cui censura conferma la sua supposta, artificiale, ipnotica essenzialità. Dopo la "Giornata dell'inimicizia" del 17 novembre, allora, lentamente, andiamo oltre. Torniamo al passaparola carbonaro, a quello dei patrioti mazziniani che vedremo anch'esso venerdì in sala in Noi credevamo di Martone. Dopo aver tagliato i rami secchi dell'amicizia su Facebook, cerchiamone un'alternativa strutturale, senza fini di lucro, per gestire i rapporti umani. Mica la rivoluzione, sia mai: magari ridando valore alle già superate mailing-list, a qualche telefonata, a qualche riunione fisica in un bar. Sarebbe la concorrenza di mercato tanto acclamata dagli illuminati economisti neoliberisti sul piano degli affetti. Altro che il simpatico totalitarismo di Facebook. Davide Turrini 11/11/2010