RACCONTI & OPINIONI

Ritorno alla figura di “angelo del focolare” tanto sponsorizzato da chiesa e fronte moderato e iperfamilista


'L’Italia non è un Paese per donne' Un secondo posto che si aggiunge ai tanti elementi di demerito della società italiana. Da una ricerca svolta da Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione Europea risulta infatti che il 48,9% delle donne italiane in età compresa fra i 15 e i 64 anni sono fuori dal mercato del lavoro. Solo Malta, fra i Paesi U.E. può “vantare” un risultato peggiore, il 59,2%. La media europea è ben più bassa, il 35,7%, ma scandagliando la situazione dei singoli Paesi il quadro italiano risulta ancora più desolante. Eustostat mostra come altri paesi europei abbiano adottato da tempo una strategia del tutto diversa, brilla la Danimarca dove le donne fuori del mercato del lavoro sono appena il 22,7%, mentre noi ci comportiamo peggio di Grecia (43,5%), Cipro (33,8%), Romania (44,7%) o Polonia (42,2%). Restringendo la fascia di età in esame e portandola in un range che va dai 25 e i 54 anni, la media di donne estromesse dal ciclo produttivo scende al 35,5%, ma anche in tal caso la media U.E. è infinitamente più bassa. Migliorano infatti i dati di tutta Europa e l’Italia resta parecchio sopra la media continentale (22,1%), la Danimarca scende addirittura al 13% e il nostro paese rimane il peggiore, a parte la solita Malta. Per fare un raffronto con gli altri paesi di peso in Europa, le donne inattive in questa fascia di età in Germania sono appena il 17,6%, in Francia il 16,7%, in Spagna il 23,3%.Fra le cause che motivano tale gap pesa certamente il tasso di istruzione e di pensionamento anche se il motivo principale risiede, come anche riportato poche settimane fa da Controlacrisi, dalle responsabilità (meglio sarebbe definirli carichi o obblighi) familiari. E se ricerca di istruzione più qualificata o raggiungimento dell’età pensionabile potrebbero essere indici comunque di una società che permette alle adolescenti di completare il processo formativo per maggiori aspirazioni e alle donne che hanno già lavorato di godere dei sacrosanti diritti alla pensione, peraltro sotto attacco, questo non dimostra affatto di vivere in una società proiettata nel futuro e capace di garantire welfare. I dati percentuali non parlano infatti di persone disoccupate ma più in generale di donne che non risultano alla ricerca di un lavoro. Traduzione: a costo di sacrifici e frustrazioni il ritorno alla tradizionale figura di “angelo del focolare” tanto sponsorizzato da santa madre chiesa e dal fronte moderato e iperfamilista che vorrebbe le donne rinchiuse in casa e con poche aspirazioni. Certamente, è sempre Eurostat ad affermarlo, raffrontando i dati del 2009, su cui si basa il rapporto, con quelli del 2000, c’è stato un miglioramento. Un miglioramento costante in Europa, ridicolo in Italia dove 10 anni fa il tasso di donne inoccupate, sempre comprese nella fascia ampia di età (15-64 anni) era superiore di meno di 4 punti percentuali. Se a questi dati si assomma il fatto che in Italia, più che negli altri paesi esiste una differenza di retribuzione per le donne occupate rispetto ai colleghi maschi con identiche mansioni (30% in meno), otteniamo, con l’arido elemento delle percentuali, un quadro di un Paese che si vanta di sedere al tavolo dei grandi del mondo, che rimanda a epoche oscure. E non valgano gli esempi televisivi di grandi donne alla guida di Confindustria, Giovani industriali, sindacato, ecc… Sono ahinoi eccezioni che confermano una regola, lo sanno bene le lavoratrici che oggi pagano insieme ai migranti per prime la crisi con licenziamenti e casse integrazioni. Quelle che la crisi non la vorrebbero continuare a pagare, come avviene da millenni.Stefano Galieni08/12/2010 leggi www.controlacrisi.org