RACCONTI & OPINIONI

Paolo Rossi e la sua Italia… da fantascienza. Il film sugli operai di oggi del giullare che sbugiarda sul serio i potenti


Rcl - Ridotte Capacità LavorativeRidotte Capacità Lavorative. E' una dicitura odiosa come solo il capitalismo- soprattutto italiano, perversamente innamorato delle definizioni-descrizioni inquietanti- sa inventare. Ma quell'RCL, titolo del film di Massimiliano Carboni per i testi e l'interpretazione di Paolo Rossi, lascia, come il film, spazio a tante interpretazioni, fatte di rabbia e nobile e popolare rassegnazione.Potrebbe essere, visto com'è finita la vicenda FIAT (fin dal logo-titolo è evidente di cosa parla il film), Ridotte Capacità Legislative. E ci si potrebbe sbizzarrire ancora come ha fatto lo stesso Rossi, calato a Pomigliano D'Arco per indagare la spaccatura sindacale di un paese-simbolo del capitalismo italiano (post)moderno, quello del Marchionne pensiero e di centinaia di vite appese alla fabbricazione di una Panda che si vorrebbe delocalizzata. Di un capitalismo di Stato e distratto, in cui il privato succhia al pubblico da decenni (la rottamazione ormai è divenuta una categoria filosofica e morale) e che ora volta le spalle con sovrana indifferenza allo stesso. Ma Paolo Rossi, che è l'anima del progetto e ci mette tutto se stesso, con generosità e lucidità, senza voler fare "Report, Annozero o Ballarò", scende sul campo. Percorre le vie di Pomigliano D'Arco, prende un caffè col sindaco, cazzia l'operatore operaista, scende la scala (mobile?) delle responsabilità pubbliche e private- interessante, per una volta, l'intervento del sindacalista- per arrivare solo alla sera, a cena, agli operai. Perché in altre ore non possono. E lì- secondo il principio del "sempre allegri bisogna stare perché il nostro piangere fa male al re"- in una situazione conviviale escono fuori riflessioni profonde e riflessi (dis)umani della crisi.Rossi aveva cominciato volendo fare un film di fantascienza, un'opera che mettesse insieme Shakira e Nino D'Angelo, polacchi e italiani in un campo da calcio (con la cantante di Waka Waka a cantarne gli inni) e, naturalmente, un'astronave. E trova sì, una realtà da fantascienza. Perché neanche lui, uomo di sinistra e ribelle per natura, giullare che sbugiarda i potenti, immagina cosa succede a qualche centinaio di chilometri da lui e che inquadra con gli impietosi cartelli finali. Con umiltà e una rabbia dignitosa e pudica fa un viaggio al centro della Fiat, per le vie di Pomigliano D'Arco (erede, ovvio, di Giovanna D'Arco), sente la gente, cerca di capire la realtà della fabbrica. Alla fine, spinto dalla metafora popolare e suggestiva, decide di percorrere, con fatica, una scala mobile al contrario. "Perché la catena di montaggio- gli dice un operaio- è come lavorare mentre si scende una scala mobile che sale". Raramente si ferma a momenti più didattici che didascalici- la lettera degli operai francesi, quella meravigliosa che lui detta a chi lo accompagna anche musicalmente, alla Totò e Peppino- e si dedica al suo surrealismo civile. Il Paolo Rossi che qui è autore e attore, che è davvero a suo agio solo col prete "sudamericano", accarezza col suo genio quello che non vuole essere né un reportage né un documentario, ma un film in progress. Vien voglia di vederne un altro, di portarlo in giro per l'Italia, per spiare i nostri lavori in corso. Perché l'insostenibile leggerezza di Paolo Rossi è un arma potente contro l'ingiustizia civile, sociale e morale. E perché se una risata ci seppellirà, poi tutti finiremo in una cassa. Integrazione. Boris sollazzo10/12/2010Leggi www.liberazione.it