RACCONTI & OPINIONI

L'utopia reale di una generazione che ha cambiato l'Italia. Gli anni 2000 ripropongono gli stessi obbiettivi di cambiamento


IL MIO SESSANTOTTO In questi giorni si sente parlare di sessantotto, come di un periodo nefasto fatto di giovani che non avevano voglia di studiare e che spaccavano tutto. Se andassimo insieme a fianco della scuola di Barbiana, in quel piccolo cimitero sperduto nella campagna toscana, di fronte alla tomba di Don Lorenzo Milani, costoro capirebbero ciò che per molti di noi significavano quei giorni. Lo confesso, eravamo "fuori di testa", perchè non ci accontentavamo di cambiare il sistema universitario; noi eravamo dei pazzi: volevamo addirittura cambiare il mondo. Lo eravamo a tal punto che negavamo cose "sensate ed intelligenti" come la guerra, le compravendite parlamentari, il trarre profitto dai terremoti, il ghettizzare lo straniero. Avevamo raggiunto addirittura la follia di considerare chi ha più del necessario, in un mondo in cui c'è chi ha meno del necessario, un ladro; e questo avveniva sulla scia degli antichi Padri della Chiesa. La nostra follia era giunta al punto che odiavamo la stupidità e la banalità di un mondo fatto di veline e di donne oggetto e volevamo seppellire questo mondo con una "risata" e salvarlo con la bellezza, come diceva Dostoievskij, e molte volte ci trovavamo d'accordo coi vescovi del Concilio Vaticano II, nutrivamo le stesse speranze, e coltivavamo le stesse pazzie. Eravamo contro i cartelli nei santuari che negano di fare la "carità" ai poveri, eravamo folli a tal punto che credevamo ancora in quello che ci insegna il Vangelo, "preferisco la misericordia al sacrificio" (Matteo 9,13), folli al punto da non misurare la nostra spiritualità dalla lunghezza dei pantaloni o dalle maniche della camicia. Allora i preti poveracci di campagna ci misuravano solo con la misericordia e sopportavano a fatica  al pari di noi i grassi cardinali vestiti di porpora. Giravamo per l'Europa con il sacco a pelo spingendoci a volte nelle vicinanze della  piana di Auschwitz, e nella mente le ballate di Bob Dylan e di Joan Baez. Un giorno mi sono avvicinato al portone sul quale c'era scritto: "Arbeit macht frei" che  indicava ai posteri la fine della nostra grande civiltà occidentale, quella civiltà millenaria che qualcuno, anche nella nostra terra, ha dimenticato. Da questo punto in avanti  il vocabolo "Popolo" assume la valenza concettuale di "Onnipotente"  senza limiti. Questo popolo comincia per incanto a considerare come "Padri della patria" i "palazzinari", o quelli che sbandierano i simboli "celtici" e  vogliono buttare nel "cesso" il tricolore o che lo convincono a tutti i costi che coltivare gli "odi ancestrali" significa essere aderenti alla realtà, col pericolo che l'umanità ritorni un giorno ad essere sterminata in quella "piana polacca maledetta". Che pazzi farabutti che siamo ancora, a pensare a queste cose assurde ed infantili, invece di insegnare ai nostri figli ad essere dei sani ragazzi rispettosi dello "status quo", desiderosi del buon  "posto in banca"! Che "pazzi Metafisici", che siamo ancora oggi a pensare come Marcuse, di poterci liberare una volta per tutte, dell'essere uomini ad una "sola dimensione".Roberto Ettore Bertagnolio