RACCONTI & OPINIONI

A giudizio di molti, il punto più basso è stato raggiunto martedì 14 dicembre con il mercato dei parlamentari compravenduti


Fine del sistema parlamentare A giudizio di molti, il punto più basso è stato raggiunto martedì 14 dicembre con il mercato dei parlamentari compravenduti. Peraltro già mesi addietro, profeticamente, un fantasioso esponente PdL teorizzò, in vivaci dibattiti televisivi, la liceità del vendere il proprio corpo (maschile o femminile) al fine di «fare carriera». Sovviene la franchezza e freschezza lessicale dell'Alighieri a riguardo del lavoro di Taide: lavoro che si può esplicare anche vendendo il proprio voto di parlamentare in cambio di un mutuo o di un kepos (che ovviamente non va confuso col CEPU). Ma, a ben riflettere, non era quello il punto più basso. In fondo anche il saggio Solone, anziché reprimerlo questo genere di lavoro, preferì disciplinarlo. Il punto più basso è stato raggiunto, invece, quando si son visti dotti maestri del giure disquisire a giustificazione dei deputati in vendita (non ancora in vetrina). Un ex presidente della Corte, con saggezza alla Polonio, ha pensosamente invitato, chi nel fenomeno del deputato in vendita ravvisa un reato, a «valutare con grande attenzione la compatibilità dell'articolo 68 della Costituzione» con la denuncia all'autorità giudiziaria dei compravenduti. Un altro sofo, esperto forse della vita che si conduce nell'entourage del premier, ha dichiarato al "Corriere della Sera" di sabato 11: «Bisogna essere cauti», e ha invitato a distinguere tra i casi in cui «il deputato che passa dall'altra parte ottiene mutui, soldi ed escort (sic)» e i casi in cui «la contropartita è la ricandidatura o un posto da presidente di commissione o di sottosegretario». Ascoltando queste parole sembra di affogare nel fango. È la campana a morto per il sistema rappresentativo-parlamentare. Quel sistema appare ormai agonizzante, e la consapevolezza della fine di esso diviene senso comune. Quella decadenza viene da lontano. Da quando il fatuo pseudo-concetto di «bipolarismo» ed il suo corollario («voto inutile») hanno preso piede nella società politico-giornalistica, il principio stesso della rappresentanza è stato ferito, e il cardine «un uomo/un voto» è stato liquidato. Da allora in avanti il distacco tra parlamento e paese si è venuto aggravando. E la lotta politica appare ormai piuttosto come un tavolo da gioco intorno al quale si punta al «jolly» del «premio di maggioranza». Dal tavolo da gioco alla compravendita del voto il passo è stato breve. E dalla compravendita del voto a quella degli eletti il passo è stato ancora più breve. Servì per affossare Prodi; è servito daccapo martedì scorso. Che il sistema rappresentativo-parlamentare fosse un prodotto storico, cioè un fenomeno che nasce, si sviluppa e muore, e non un valore «eterno», lo avrebbe capito a priori anche un principiante. Ora ne abbiamo la prova in corpore vili. Come sempre quando le classi in lotta «marciscono» (per dirla con Gramsci) il problema è se ci attenda un Cesare. Magari da baraccone, galleggiante su di un ceto parlamentare in cui, come si esprime l'avv. Pecorella, si scambiano «soldi, mutui o escort».Prosit. Luciano Canfora da www.laterza.it