RACCONTI & OPINIONI

Solo un economista che non ha studiato l'abbecedario può dire che l'aumento dei salari poco giova all'economia


Il crollo dei consumi, De Rita e i polli di TrilussaCome già da alcuni giorni, anche oggi 11 gennaio, a voler utilizzare i titoli dei maggiori quotidiani nazionali per trarne interessanti motivi di approfondimento, c’è solo l’imbarazzo della scelta.Dal più recente ultimatum dell’Ad della Fiat, alla “parentopoli” che ha messo in crisi la giunta capitolina, passando attraverso l’oramai insopportabile litania del Berlusconi-pensiero rispetto al Pm di turno.Tra tanta abbondanza c’è, però, un articolo de “La Repubblica”, a cura di Elena Polidori, che merita una citazione particolare; si tratta di una breve intervista al sociologo Giuseppe De Rita.  Personalmente l’ho trovata molto interessante perché già il titolo: “ Compriamo meno perché ormai abbiamo tutto”, rinvia fedelmente al compendio di ovvietà e sciocchezze messe insieme dallo storico Presidente del Centro Studi Investimenti Sociali.In effetti, è sorprendente (e, contemporaneamente, sconfortante) prendere atto che i deprimenti dati forniti recentemente dalla Confcommercio - secondo i quali il livello dei consumi in Italia è tornato pari a quello del 1999 - offrono al fondatore del Censis l’opportunità di assemblare una serie d’incredibili motivazioni per giustificare la caduta dei consumi.Tra queste, l’elemento cardine delle sue considerazioni è rappresentato dalla teoria secondo la quale i motivi della marcata contrazione (dei consumi) sono da ricercare nel “calo dei bisogni”, dettato dalla mancanza di stimoli e di sufficienti impulsi “esterni” da parte di un’offerta che, in sostanza, non offre più nulla di allettante!Una teoria attraverso la quale - è consequenziale - si “diluiscono” e vengono sottaciute le reali difficoltà di un Paese che ha tante difficoltà ancora da superare.Infatti, sostiene De Rita, se il 90 per cento degli italiani è proprietario della prima casa, se di questo 90% almeno la metà ne possiede una seconda, se gli armadi “straripano”, se tutti possiedono almeno un telefonino e se a Roma ci sono piazze e stradine che debordano di tavoli di ristoranti sempre pieni: “Dov’è il nuovo. Perché gli imprenditori non migliorano l’offerta. Abbiamo forse oggi un’autovettura nuova che stimoli il nostro impulso a comprare”?Nel merito delle considerazioni espresse da De Rita, a prescindere dal richiamo a dati statistici che hanno ben poco a che vedere con i risultati (concreti) del rapporto della Confcommercio - quasi a voler, indirettamente, confermare che: “Una delle poche certezze assolute della statistica è che ciò che è medio non esiste” - colpisce il ricorso a metodologie di analisi, quali gli avventori dei ristorantini romani, più confacenti al Matteo Salvini del “Bar dello sport” leghista, che non al Presidente di un qualsiasi Centro studi!In perfetta sintonia con le linee guida dell’intervista, la conclusione appare (eufemisticamente) paradossale.De Rita, infatti, contraddicendo anche l’abbecedario degli economisti, afferma che neanche l’aumento dei salari sarebbe sufficiente a stimolare un’inversione di tendenza e solo l’offerta di nuovi (accattivanti) beni (prodotti) risveglierebbe negli italiani il “bisogno compulsivo” di aumentare i consumi.Cosa ci sia di compulsivo nelle spese destinate all’alimentazione (- 3,2 per cento), all’abbigliamento ed alla mobilità (tutte ridotte del 3,1 per cento), non è dato sapere.A pensarci bene, si tratta di una nuova versione - riveduta e corretta - della (estemporanea) soluzione adottata dalla regina Maria Antonietta, la quale, al primo ministro che la informava sulla scarsità di pane per il popolo, suggeriva di distribuire delle brioche!Renato FiorettiCollaboratore redazione "Lavoro e Salute"11 gennaio 2010