RACCONTI & OPINIONI

Si continua a fare finta di non sapere che l’80 per cento delle entrate dello Stato proviene dai lavoratori dipendenti


La vecchia storia dei ricchi salvati dai poveri  Berlusconi, oltre che salvare se stesso, vuole mettere al sicuro il suo bottino. E non vuole tirare fuori neanche un centesimo per il rilancio dell’economia e dell’occupazione. Uno degli uomini più ricchi del mondo, le cui entrate superano milioni di volte quelle di un operaio, adesso ci fa sapere che lui e quelli come lui è bene che non paghino più tasse, nell’interesse dell’Italia e di tutti gli italiani. Il cosiddetto «patto per la crescita», che egli ha avuto la spudoratezza di presentare adesso per poter dire poi che gli altri non lo hanno voluto, si basa infatti su tre punti, che i contraenti dovrebbero accettare a scatola chiusa: «lo storico accordo sulle relazioni sociali di Pomigliano e Mirafiori», «la riforma costituzionale dell’articolo 41» e «misure drastiche di allocazione sul mercato del patrimonio pubblico», ossia la svendita di quel che c’è rimasto dopo l’assalto delle cavallette e che apparterrebbe a tutti noi. Lui, che possiede una ventina di ville e un numero imprecisato di società off shore, dichiara «una irriducibile avversione strategica» verso l’imposizione fiscale sui grandi patrimoni improduttivi, la vera palla di piombo che blocca lo sviluppo del Paese. E ci viene a dire, complice Dario Di Vico del Corriere della sera, che la patrimoniale punirebbe soltanto il ceto medio. Un’offesa a chi paga le tasse e una falsificazione patente, perché la conformazione della patrimoniale dipende da chi vuoi tassare, e anche perché non si sa più cosa sia il ceto medio. In compenso il silenzio è assoluto sulla lotta all’evasione e sulle rendite parassitarie collocate tranquillamente all’estero. La verità è che quasi il 50 per cento della ricchezza nazionale è concentrata nelle mani del 10 per cento della popolazione. Ed è qui che occorre intervenire, anche per un elementare principio di giustizia. Senza dimenticare che l’articolo 53 della Costituzione stabilisce che «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva». O si fa finta di non sapere che l’80 per cento delle entrate dello Stato proviene dai lavoratori dipendenti? E veniamo ai tre punti del «patto per la crescita». Quanto allo storico “accordo” di Marchionne, dopo la grande mobilitazione che c’è stata e le inoppugnabili argomentazioni della Fiom (e non solo), mi limito a osservare che pensare di rilanciare il Paese colpendo salari, diritti e dignità dei lavoratori è un puro controsenso, questo sì un dogma retrogrado e reazionario già condannato dalla storia. Che fa il paio con la “riforma” dell’articolo 41 della Costituzione, un’antica ossessione del capo del governo. Poiché in questo articolo si sostiene che «l’iniziativa economica è libera», essendo Berlusconi un vero crociato della libertà d’impresa qui garantita, se ne deduce che la sua furia reazionaria è rivolta proprio contro le parti più innovative e socialmente rilevanti volute dai padri costituenti. Là dove si afferma che l’iniziativa privata «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana», e che «l’attività economica pubblica e privata deve essere coordinata a fini sociali». Quanto poi alle cosiddette liberalizzazioni e alla privatizzazione ulteriore, in nome della libertà, di quel poco che resta dei beni pubblici, il Cavaliere si conferma un falsificatore incallito a tutto tondo. Va infatti ricordato che lui ha sempre usato i beni pubblici e i poteri dello Stato per arricchire se stesso e la sua famiglia, e che dal governo, con tanti saluti alla libera concorrenza, ha costruito posizioni di quasi monopolio per le sue aziende. A cominciare da quando Bettino Craxi gli ha gentilmente concesso l’uso dell’etere, che è un bene comune, per le trasmissioni televisive. A seguire poi con tanti provvedimenti che ha prodotto per se stesso. Una ragione in più per mandarlo a casa. Un governante che declina la libertà secondo il proprio interesse, un ricco sfondato che non vuole mettere un euro per alleviare i drammi della crisi, un supercapitalista della specie comunicativa-speculativa che mette le mani sul pubblico potere e sui beni comuni per piegarli alla sua smania infinita d’arricchimento – un soggetto di tal fatta deve tornare là da dove è venuto. Anche perché, per uscire dalla crisi, ci propone gli stessi ingredienti che l’hanno fatta esplodere. La solita vecchia storia dei ricchi salvati dai poveri.Paolo Ciofi 01/02/2011Leggi www.liberazione.it