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Post n°5524 pubblicato il 14 Novembre 2011 da cile54
Ecco il percorso di guerra che porta alla Terza Repubblica L'uscita dal ventennio berlusconiano sta suscitando, mi pare, una soddisfazione popolare contenuta ma anche giustamente sospettosa. Vi è coscienza diffusa, infatti, che il governo Monti, che probabilmente nascerà, vivrebbe nel pendolo fra qualche forma di patrimoniale da un lato ma soprattutto una pessima controriforma delle pensioni e una privatizzazione dei servizi locali come campo diretto di profitto dall'altro. Per non parlare dell'attacco forsennato al pubblico impiego e ai diritti del lavoro. La Bce, Obama, la Merkel, il presidente Napolitano stanno tracciando, ora dopo ora, il percorso di guerra che porta alla Terza Repubblica. Ma "guerre umanitarie" non esistono. Ogni guerra produce macerie e precedenti infausti, che ci condizioneranno per anni. E' per questo che lavoriamo per una mobilitazione di tutta la sinistra alternativa, politica, sociale, sindacale anche attraverso un rapido passaggio elettorale. Se il polo della sinistra alternativa non si costruirà in questi giorni, organizzando conflitto sociale e con un punto di vista programmatico radicalmente anticapitalista alternativo ai diktat della Bce, ripartiremo, tra quindici mesi, da posizioni molto più arretrate. Stanno mutando, infatti, molto rapidamente, anche gli equilibri fra partiti e quelli interni ai partiti: ciò concerne la segreteria Bersani all'interno del Pd, ma, per quel che ci riguarda, chiama in causa direttamente tutte le forze del centrosinistra, della sinistra alternativa e comunista. E non può non riguardare la discussione interna ai movimenti organizzati: sto pensando al comitato "No debito", che ha assunto, da mesi, una posizione che condivido; ma sto pensando anche al dibattito interno ad "Uniti per l'alternativa". Il patto di consultazione che proponiamo fra le forze di opposizione al governo della Bce, non può che partire dall'organizzazione di un ampio movimento di massa. Il governo che si sta formando sancisce, infatti, anche la fine dell'autonomia della politica. Le istituzioni italiane si affidano, completamente, al sistema di governo economico europeo. La borghesia finanziaria sceglie l'autorappresentazione istituzionale: Papademos in Grecia, Monti in Italia; e, statene certi, non finisce qui. Per riuscirvi, mobilita tutto l'arredo emergenzialista possibile, creando una situazione istituzionale da "stato di eccezione"; anche stampa e televisioni di centrosinistra sono in larga parte "embedded", cioè truppe mobilitate in maniera militare. Insomma, per paradosso, proprio quando il capitale entra in una crisi organica, viene santificato, con la violenza che deriva anche dalla sua fragilità, un neoliberismo che non è in grado di dare alcuna risposta. Ma mentre negli Usa si apre, perlomeno, una dialettica tra Obama e Occupy Wall Street, in Europa la mancanza di un patto costituzionale democratico e condiviso delega tutto alla sovranità della Bce come fosse una forma inedita di statualità. Va ripresa una iniziativa per una costituzione europea che nasca dal basso e coinvolga i parlamenti, anche per non lasciare alle destre uno spazio critico, che riempiono con torsioni nazionaliste e razziste. La crisi definitiva del ventennio berlusconiano dimostra quali fossero le debolezze analitiche e propositive della liberaldemocrazia. La fine di Berlusconi coincide con la crisi estrema della liberaldemocrazia; mentre avrebbe potuto essere (e per noi è) l'inizio della ridiscussione del liberismo. Prevale, invece, l'assolutezza dell'impresa che proietta sé stessa anche nel sistema politico e costituzionale; la formazione sociale è sottoposta alle gerarchie aziendali ed alle oligarchie tecnocratiche. Perciò il braccio di ferro tra ministri "politici" o "tecnici" è solo materia di politicismo banale e un imbroglio per l'opinione pubblica. Sono, invece, preoccupato del fatto che rischia di crollare, sotto i colpi dell'emergenzialismo, il nostro costituzionalismo democratico. La conduzione della crisi di governo ha assunto certamente accentuate forme semipresidenziali, di commissariamento dello stesso dibattito politico. Gli equilibri costituzionali pretendono sobrietà e autonomia dei poteri; essi non possono essere messi tra parentesi dall'esercizio di funzioni eccezionali. Non credo al sostanzialismo; non è vero che dopo l'esercizio di funzioni eccezionali si ritorna alla normalità costituzionale. Dovremo, quindi, avere il senso delle difficoltà della sfida: il passaggio governativo cerca di sancire che gli interessi dei poteri economici pretendono un equilibrio centrista che distrugge, contemporaneamente, il berlusconismo ma, soprattutto, il sindacato di classe e la sinistra. Anzi, tutte le sinistre. La Costituzione, in questo quadro, è vista come un impaccio. E' questo il nuovo contesto nel quale agiremo. Giovanni Russo Spena 13/11/2011 |
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Roma, 12 maggio 1977
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