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« Breve saggio sociopoliti...Viaggio tra gli effetti ... »

Quando lavorare diventa impossibile, o pericoloso. Fatti tanto comuni quanto difficili da provare e denunciare.

Post n°7038 pubblicato il 04 Novembre 2012 da cile54

MOBBING, STRAINING, STOLKING OCCUPAZIONALE

Alcuni, pensano che il miglior modo di vivere sia farlo pericolosamente, in quanto può essere molto eccitante, ad esempio lanciarsi da un paracadute, immergersi in profondità, nuotare in mezzo agli squali..

            Esiste paradossalmente, un modo molto più semplice di sperimentare il pericolo e la paura, ossia recarsi ogni giorno al lavoro e trovarsi ad affrontare: MOBBING-STREAMING e/o STOLKING occupazionale.

            Benchè venga spesso usato per questa condizione il termine Mobbing (da to mob=assalire tumultuosa-mente,accerchiare, isolare)è bene sapere che, nell'ambito clinico e nel panorama giuridico, si vanno sempre più delineando figure differenti e specifiche a descrizione delle varie situazioni di conflittualità lavorativa, che danneggiano il lavoratore, tra cui quelle sopra enunciate.

            Mobbing, equivalead una situazione continuativa, sistematica e persistente, in cui il lavoratoreviene fatto oggetto di azioni ad alto contenuto persecutorio, da parte di uno o più mobber, in posizione gerarchica superiore, di parità o inferiore, con lo scopo di causare nella vittima stress, isolamento, paura stati d'ansia ,attacchi di panico.

            Straining, situazione persecutoria dove viene meno, il carattere di continuità dell'azione vessatoria, e che viene effettuata con azioni demolitive, ma distaccate nel tempo,  tra cui demansionamento, isolamento , dequalificazione, privazione degli strumenti di lavoro

            Stolking occupazionale, forma persecutoria che si esercita nella vita privata della vittima, ma la cui motivazione, proviene dall'ambito lavorativo, dove lo stolker (colui che fa la posta, o personaggio affetto dalla sindrome del molestatore), ha già tentato la strada del mobbing o straining e o lo affianca o caduto nell'insuccesso tenta quest'altra azione persecutoria.

            Obiettivi: chi esercita queste forme di violenza, vuole costringere la vittima a ipotizzare un allontanamento volontario, in quanto la stessa, stremata, comincerà a stare male e assentarsi per malattia. Insorgerà la paura del rientro, quindi sempre più spaventata chiederà l'aspettativa, magari senza remunerazione. Rientrerà, ma avrà terrore e rinuncerà a far valere i propri diritti, rischiando di passare dalla parte del torto, richiando il licenziamento.

            Cosa fare, chi legge dirà facile scrivere provare per credere, ma non è proprio solo pura filosofia

1)         Non dargliela vinta, piuttosto asciugatevi le lacrime

2)         Se avvertite malessere comunicatelo ai medici competenti

3)         Mettete tutto per scritto,le parole volano , quindi verità documentali , e se il mobber scaltro vi parlerà in una stanza rigorosamente senza testimoni chiedete chiarimenti scritti.

4)         Fatevi supportare se la trovate da una persona di fiducia o da un sindacato, la visuale cambia se a guardare c'è anche qualcuno non coinvolto personalmente

5)         Se riuscite cercate testimoni, piu' complicato difficilmente qualcuno si espone,ma tentare non nuoce

6)         Tenete un diario con la memoria storica degli avvenimenti, ore, date, frasi, luoghi….

7)         A questo punto supportata dai 6 punti precedenti dichiarate la vostra condizione di disagio, magari davanti ad un assemblea pubblica, fino a quel momento esprimete una sensazione di difficoltà, ma documentabile, e sarà obbligo della Dirigenza mettere in atto tutte le misure di tutela se ne sussistono i criteri,per aiutarvi

8)         Armatevi di pazienza e come foste ritornati al punto uno, ma  questa volta con delle sicurezze, il tempo paradossalmente ha giocato a vostro favore

9)         Non pensate di essere unici, si calcola per difetto che in Italia ci siano 1.500.000 di lavoratori nelle vostre condizioni

10)       Quando la Dirigenza avrà preso atto del reato, farà anche i conti di quanto chi vi ha fatto questo gli è costato,pensate uno o più persone che anziché lavorare passavano il tempo a meditare su come perseguitarvi, la vostra malattia e forse il risarcimento che vi sarà dovuto…

Cronaca del mio vissuto

Sono un infermiera, considerata diligente, una buona professionista, cresciuta negli anni nel rispetto della gerarchia, e della professionalità. Durante il mio percorso lavorativo, ho scelto di entrare in un nuovo gruppo di lavoro, accoglienza straordinaria,si comportava con me come una seconda famiglia, la mia professionalità e capacità aumentavano, ero anche arrivata ad essere un esempio in quella specialità. La mia crescita, aveva anche sviluppato in me una maggiore coscienza critica, e in quella bella famiglia , cominciavo a scorgere ambiguità, percezioni ma……

Prima di parlarne con il responsabile pensando di mettere in luce le criticità rilevate, che potevano apparire come scorrettezze, dovevo documentarmi…

Dal giorno dopo, il gruppo era diventato un branco, e proprio la persona con cui mi ero confrontata ,pensando di fare cosa giusta, da buon capo branco, ha fatto in modo di mettere in atto tutto quello che c'è nella prefazione, isolamento, trattamento da appestata, pur avendo una professionalità ben definita, persone con un ruolo inferiore, che mi maltrattavano davanti agli utenti, attività sanitarie delegate a personale senza competenze sanitarie, l'accesso ai dati benchè di ordine sanitario previo consenso di una figura non sanitaria, dovevo chiedere appuntamento al personale amministrativo a cui il responsabile, non ha mai obbiettato niente e tante altre cose che avevano portato la mia frustrazione a piangere da casa al lavoro, nel bagno, e dal lavoro a casa.

Conseguenza pianti a dirotto, ho tentato, con documentazione, di far presente al Responsabile, quanto stava accadendo, e la risposta è stata " Se fanno così e perchè se lo merita”. Pensate quasi quasi ho cominciato a crederci, ma la tragedia più grande era la mia sofferenza fisica e psicologica, che volenti o no si ripercuoteva sulla donna e mamma.

Vi descrivo la mia giornata tipo.

Percorso da casa con l'angoscia e qualche lacrima, bollatura e arrivo presso il posto di lavoro, servizio, sottolineo, sanitario. Luci spente, nonostante l’orario di parte dei servizi fosse iniziato, ovvvia accensione delle accensione delle luci e conseguente irritazione della dipendente amministrativa, con annesso urlo, “pensi che sia Natale” e spegnimento delle luci, per ritardare l’inizio delll'attività.

Al mio arrivo nessuno mi salutava, entravo nel mio finto ufficio, (deposito cartelle cliniche), mi recavo bussando presso l'amministrativa per avere le urgenze della giornata, ma, mi diceva, che aveva altro a cui pensare e  e di fare da sola.

Mi venne vietato dal responsabile, su richiesta del personale amministrativo, di mettere mano alla documentazione sanitaria.

Alle volte si presentava un caso urgente, andavo a domandare notizie alla l'impiegata di sportello, ma, davanti agli utenti, mi urlava che davo fastidio che non dovevo disturbare, che la documentazione l'aveva lei e me l'avrebbe consegnata a tarda mattinata o quando avrebbe avuto tempo.

Ero sorvegliata. Mi recavo in Direzione Sanitaria ed il responsabile me lo rinfacciava; telefonavo e lo ritrovavo alle mie spalle gridadomi “è inutile che cerchi protezione”, magari ero al telefono per servizio.

Di tanto in tanto, in concomitanza della pausa, arrivava il responsabile, avevo una marea di casi clinici su cui discutere, prima s’intratteneva a lungo con tutto il personale amministrativo e quindi veniva da me, dicendomi "le concedo due minuti".

Facevo in tempo ad enunciare il primo caso sanitario da risolvere e mi diceva “il suo tempo è scaduto”.

Cercavo di obbiettare, e ripeto svolgevo attività sanitaria non emettevo prenotazioni o fatture, e mi rispondeva mi faceva un  sorrisino sarca-stico“guardi che lei è l'ultima che possa salvare il mondo”.

Nel frattempo il personale restante era andato in pausa pranzo, spento le luci e chiuso tutte le porte a chiave, per cui se avessi avuto un urgenza avrei dovuto cercarli, perché non mi fu mai data una copia.

Le volte che c'erano riunioni, presente un sanitario di altro servizio, il responsabile e gli amministrativo, a me era precluso l’ingresso..

Orario di uscita, porte chiuse con personale ancora presente, bussavo per salutare, non rispondevano, andavo  via, ma finalmente potevo piangere. Tutto però si ripercuoteva sulla mia vita personale, ho trasmesso la mia sofferenza in famiglia, e questo mi faceva sentire doppiamente, inappropriata, una debole, una buona a nulla.

Direte, perché non hai mollato, semplicemente, perché la mia professionalità, valeva di piu' dei miei pianti, quanto mi stavano facendo non poteva farmi diventare come loro, io avevo un compito contribuire a risolvere problematiche sanitarie.

E' stata dura, avevo paura anche di parlare al telefono ero controllata, poi ecco comparire il malessere, il medico si è fatto raccontare quanto mi stava accadendo e mi ha spiegato che ero ammalata di ingiustizia, e poi e' accaduto tutto quello che ho scritto, all'inizio ho trovato qualcuno che ha incominciato a credermi, e via via, ho fatto tutto con grande fatica compresa la denuncia pubblica

Mi chiederete hai ottenuto qualcosa al momento NO, ma vi posso assicurare che aver fatto quanto raccontato, mi ha cambiato, le mie paure e le mie insicurezze, sono scomparse, adesso non tremo più quando incontro quelle persone, ma le guardo dritta negli occhi.

Il fatto che io non abbia ancora ottenuto riscontro, non vuol dire, che mi accontento, andrò fino in fondo, anche se qualcuno mi ha detto che se avessi proceduto,mi avrebbe rovinata. Mi dispiace ,ma la mia dignità, non si ferma più davanti a delle minacce.

Per cui fate come me, è dura ci ho messo 4 anni a trovare il coraggio, aiutata dalle persone giuste, non fatevi imprigionare da questi soggetti, che credono per potere di comprare o massacrare gli altri, coraggio l'unione fa la forza.

Un’infermiera, una donna, una mamma

(Testimonianza firmata)

Contributo di vissuto lavorativo, di una infermiera di un’asl piemontese sottoposta a continui episodi di annientamento della professionalità, e della dignità. Dal numero di novembre di Lavoro e Salute di prossima pubblicazione

 
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