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Tra una sfilata di moda e l’altra, il segretario del Pd aggiunge un altro tassello del suo gioco di società "riforma del lavoro"

Post n°8467 pubblicato il 10 Gennaio 2014 da cile54

L’ideologia di Matteo, Marianna e Filippo

Dice Matteo, assieme ai suoi ragazzi e particolarmente a Marianna e Filippo, che il lavoro lo creano gli imprenditori e non i provvedimenti di legge. Questo è il significativo incipit della prima bozza di job act pubblicata ieri nella e-news di Renzi (in allegato)

Ovviamente non è l’unica perla che vi è contenuta, ma forse è la più significativa, non solo perché stravolge, capovolge e mistifica la realtà, ma soprattutto perché delinea una visione del mondo del lavoro, e quindi dei lavoratori, come totalmente ed unicamente subordinato agli interessi di impresa.

Un tale concetto è poi meglio ribadito nel punto dedicato alla formazione dove si afferma che questa potrà essere finanziata con fondi pubblici solo se risponderà “all’effettiva domanda delle imprese”. Affermare che siano gli imprenditori e non le normative di legge quelle che creano il lavoro, nel paese del capitalismo assistito in cui i trasferimenti alle imprese hanno determinato la stragrande maggioranza del debito pubblico nazionale, è una banalizzazione che non inquadra la realtà italiana, anzi ne palesa la completa ignoranza.

L’affermazione apodittica “allora basta ideologia e mettiamoci sotto” con cui si conclude la premessa alla nota di matteomariannafilippo è gonfia di ideologia più di qualsiasi altra affermazione.

Non è ideologia immaginare un Paese senza tutele reali, di totale precarietà in cui per anni ogni nuovo assunto è in balia del diritto divino del datore di lavoro di licenziarlo a vista – per poi magari assumerne un altro e ricominciare daccapo – in cui l’unica alternativa al soggiacere all’interesse di impresa sia qualche euro di sussidio non certo il diritto ad un reddito nelle sue varie forme: salario, tariffe, casa, cultura ecc., in cui il principale obbiettivo sia ridurre l’IRAP, cioè le tasse alle imprese nell’improbabile speranza che così crescano gli investimenti in lavoro invece della fuga sull’ottovolante della finanza? E non appartiene alla sfera dell’ideologia dire che i dirigenti pubblici non devono avere il contratto a tempo indeterminato perché così si mette uno stop allo strapotere delle burocrazie ministeriali?

Anche un cretino sa che proprio la natura pubblica del contratto e la sua stabilità sono gli elementi che sottraggono la dirigenza pubblica al ricatto della politica e dei mutamenti di quadro governativo.

Se invece di smontare pezzo a pezzo l’idea di “pubblica amministrazione” attraverso l’inoculazione a dosi massicce del virus del “privato è bello e funziona meglio” avessimo difeso la primazia dell’interesse generale, e quindi di una gestione trasparente e volta al soddisfacimento dei bisogni di tutti attraverso una pubblica amministrazione funzionante e sottratta ai ricatti dell’Europa, forse oggi avremmo una dirigenza motivata sul piano della tutela degli interessi generali più che dai propri interessi di bottega sempre garantiti dai sindacati clientelari e complici, ma questa è altra faccenda che nulla c’entra con la natura del contratto.

Quanta ideologia c’è nel non affrontare neanche di striscio la devastazione previdenziale prodotta dagli ultimi governi per favorire i fondi pensione? E non è ideologia proporre una legge sulla rappresentatività sindacale di fatto subordinata alla “presenza dei rappresentanti direttamente eletti dai lavoratori nei CDA delle grandi aziende”?

E’ il preludio alla condivisone dei destini del capitale arrivando al paradosso che i rappresentanti dei lavoratori si troveranno a votare nei CdA i licenziamenti per garantire gli utili di impresa o accetteranno risparmi sulla tutela della salute e dei diritti pena il ricatto della riduzione di organici.

Loro la chiamano “l’idea di fare” a noi sembra molto l‘idea del disfare, a partire dalla volontà di creare un “codice del lavoro” che sotto la finzione, vecchia come il mondo, della semplificazione delle norme in verità vuole chiudere con la storia dello Statuto dei Lavoratori per aprire ad una nuova stagione in cui il capitale possa disporre liberamente del lavoro e dei lavoratori. Per capirci: come e più di Marchionne.

Prepariamoci ad una grande, continua e dura mobilitazione, ce ne sarà bisogno.

http://www.usb.it/fileadmin/archivio/nazionale/job_act_renzi.pdf

redazione

09/01/2014 www.usb.it

 
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