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IL LIBRO, NON GIURIDICO, CHE STO LEGGENDO. RUBRICA DELLA DOMENICA. RACCONTO A EPISODI.


Si inizia con“Manuale pratico della transizione. Dalla dipendenza del petrolio alla forza delle comunità locali”.Autore Rob Hopkins. Arianna Editrice. EPISODIO 1  Se la vostra risposta alle seguenti domande è “SI”, probabilmente la lettura di questo libro non vi interesserà: In futuro saremo più ricchi di adesso? La crescita economica potrà proseguire all'infinito? Il possedere le cose ci rende felici? La globalizzazione è un processo inevitabile al quale tutti dobbiamo adattarci? Se la risposta invece è “NO” oltre a giudicare questo libro ben scritto, avrete l'opportunità di approfondire gli argomenti del cambiamento climatico e del picco del petrolio senza eccessivi catastrofismi e con un insolito ottimismo. L'autore ritiene che il “picco del petrolio” e cioè il momento in cui, per l'eccessivo sfruttamento di questa risorsa, non potremo più godere di energia abbondante e a basso costo, è molto vicino se non già addirittura raggiunto. La fine dei carburanti a basso costo, non significa che continueremo ad arrabbiarci per il costo del pieno anche se tutto continuerà come prima; significa invece che spariranno, in tempi più o meno lunghi, i seguenti prodotti derivati dal petrolio: ASPIRINE, NASTRO ADESIVO, SCARPE DA GINNASTICA, COLLE, VERNICI, COLORANTI, CD, DVD, LENTI A CONTATTO, COMPUTER, STAMPANTI, CANDELE e molto altro (senza contare gli oggetti ottenuti indirettamente grazie all'energia prodotta dal petrolio che manda avanti le industrie: praticamente tutti). Cosa succederà allora? L'autore non lo sa, ma si immagina che il picco del petrolio potrebbe potenzialmente produrre povertà, fame, guerre per il controllo degli ultimi giacimenti dei combustibili fossili (sempre più rari e preziosi). Quale la soluzione? La soluzione, per l'autore, è: costruire la resilienza delle piccole comunità. Che cos'è però la resilienza? In poche parole è la capacità di resistere a livello locale e nel modo migliore possibile alla fine del petrolio. Ma qualsiasi definizione non è efficace quanto l'esempio portato dall'autore sotto forma di storia: La Valle di Hunza:“Nel 1990 ho visitato la Valle di Hunza nel Nord del Pakistan, un luogo che, fino all'apertura dell'autostrada del Karakorum, nel 1978, era rimasto quasi isolato dal resto del mondo.....Mi trovavo di fronte ad una società che riusciva a vivere secondo le proprie possibilità e aveva sviluppato un incredibile e sofisticato, ma nel contempo semplice, modo per farlo. Tutti gli scarti, compresi i rifiuti umani, venivano diligentemente riciclati e ritornavano nel ciclo naturale. I terreni, che erano stati ritagliati sulle montagne nel corso dei secoli, venivano irrigati grazie a una rete di canali che portava l'acqua dei ghiacciai circostanti, ricca di minerali, fino ai campi con incredibile precisione. Ovunque vi erano albicocchi, meli, ciliegi, mandorli, noci e ogni sorta di alberi da frutto. Tutto a torno e sotto gli alberi crescevano patate, orzo, frumento e altri tipi di ortaggi. I campi erano ordinati, ma non recintati. Le piante crescevano in piccoli gruppi diversificati, piuttosto che in grandi monoculture.....Dovendo continuamente camminare su e giù per le montagne la gente di Hunza è famosa per lo stato di forma fisica.....I sentieri erano stati pavimentati con pietre e non erano percorribili in macchina, ma solo a piedi o con gli animali. Sembrava che le persone avessero sempre il tempo di fermarsi a chiacchierare, oppure per giocare con i bambini, che correvano scalzi e sporchi per i campi. Le albicocche venivano raccolte e stese a maturare sui tetti delle case..........Gli edifici costruiti con mattoni di fango prodotti con materiale del posto, erano caldi d'inverno e freschi d'estate........Semplicemente Hunza è il luogo più bello, tranquillo, felice e ricco che abbia mai visitato in vita mia.......Se in quel momento Hunza fosse rimasta tagliata fuori dal resto del mondo e scollegata dalle autostrade dell'economia globale, attraversate da camion carichi di merce, non ne avrebbe risentito minimamente. Se ci fosse stata una crisi mondiale dell'economia, anche qualora questa fosse collassata, i suoi effetti sarebbero stati minimi sulla Valle di Hunza. I suoi cittadini erano troppo resilienti, felici, in salute e legati tra loro da un forte sentimento comunitario per risentirne”. In seguito nella Valle di Hunza cominciarono a fare la loro comparsa i primi sacchi di fertilizzante, il cemento, i cibi zuccherati e le bevande gasate, i piccoli trattori che rendono meno faticoso il lavoro dei campi, tutte novità molto attraenti portate dalla globalizzazione, che tuttavia in cambio chiede l'abbandono dell'economia resiliente per abbracciare una forte specializzazione, l'abbandono dell'autosufficienza alimentare ed energetica, tanto che la fine del petrolio, di cui ci si sarebbe difficilmente accorti ai “vecchi tempi”, oggi sarebbe la maggiore disgrazia immaginabile anche per i contadini di Hunza. A domenica prossima per l'EPISODIO N. 2