ROSSO DI SERA

Un tributo a uno sconosciuto


Quando mi liberai dall’impegno mancava poco all’una. Una rapida corsetta fino al tabaccaio più vicino, sperando fosse ancora aperto. Inutile… mai che sgarrino con l’orario, in questa città così ligia alle regole! Raggiunsi il bar, mi sedetti all’aperto. Quella voglia di fumarmi una sigaretta stava quasi diventando un fastidio. Una scarsa mezz’ora di attesa, sorseggiando una freschissima bibita, e mia sorella mi raggiunse. Non si era ancora seduta che già le chiedevo una sigaretta. Due, tre tiri. Forse anche di più, inalando profondamente. Provando il piacere intenso di chi per un po’ si è trovato a doverne fare a meno. Lui ci arrivò vicino, si fermò davanti a noi, guardandoci, in silenzio. Avrà avuto sì e no cinquant’anni. Io lo osservai, in quel lungo istante di attesa. Sotto il fresco abito scuro indossava una camicia bianca, e un foulard annodato al collo. Mi sembrò esageratamente vestito, per una giornata così calda. Poi parlò. La voce rauca, soffocata, che usciva stentatamente dalla gola. “Non fumate, bambine…”. Si portò la mano al collo, allentò il nodo del foulard. “Guardate”, disse, “guardate come il fumo mi ha ridotto”. Vidi il taglio sulla gola che si perdeva nel foulard, verso il petto. Una cicatrice rimarginata ma ancora violacea, ancora viva. Continuò a parlarci lentamente, con sforzo, in piedi davanti a noi. Io lo ascoltavo e lo guardavo affascinata, e tra le mie dita la sigaretta si consumava lentamente, per inerzia. Quando spegnemmo i mozziconi nel posacenere lui se ne andò. “Bè, adesso me ne accendo un’altra” disse mia sorella, porgendomi il pacchetto delle sigarette. “Io adesso no”, le risposi. Fu una risposta di getto, immediata, come fosse indipendente dal pensiero. Ne fui quasi stupita. “Andiamo, ho una gran fame”, le dissi. Non la accesi neppure dopo aver pranzato, anche se le sigarette che più desideravo erano quelle dopo i pasti, e quella del mattino, con il primo caffè. Tenni duro. Tenni duro anche dopo aver cenato… L’indomani mi sentivo un’altra. Mi sentivo caricata. A ogni nuova rinuncia corrispondeva una nuova vittoria della volontà. Pensavo: se ieri ce l’ho fatta, allora posso farlo anche oggi. E passò un giorno intero, senza cedimenti. E un altro, e altri ancora. Di notte fumavo come una turca. Sognavo continuamente di fumare, e fumare, e fumare. Ho continuato a sognare di fumare per tanti anni.Avevo trentuno anni, allora. Avevo alle spalle un intero pacchetto al giorno, per più di dieci anni. Avevo alle spalle anche la vaga idea di smettere – i motivi erano tanti - ma mai mi ero messa d’impegno. Non ho mai più rivisto quell’uomo, quello sconosciuto che aveva sentito il bisogno di raccontare a noi della sua disgrazia, con l’unico intento di fare qualcosa di buono per due persone sconosciute. Io non potrò mai dimenticarlo.  E da quando smisi di fumare mi sarebbe piaciuto fare, accidenti quanto mi sarebbe piaciuto poterlo fare, un tangibile tributo a una persona così speciale. (Giulia_live)