ROSSO DI SERA

Chi sei?


     Esteriorità che m’invita a essere curiosa. Al mattino la incrocio per strada, attrae la mia attenzione. E com’è possibile non la si possa notare, quand’è così che si presenta? C’è chi oggi ancora s’azzarda a uscire in maniche corte, c’è chi, come me, preferisce coprirsi a sufficienza onde evitare un raffreddore… tenendo conto che la temperatura dell’aria supera di poco i 20 gradi. Ma lei no, a catturare la temperatura lei deve avere dei sensori diversi da quelli della gente comune. Ha un’età variabile fra i 40 e i 50. Cammina a passo spedito, con lo sguardo alto sopra la testa della gente che le si fa incontro sul marciapiede. Veste una pesante mantella nera con cappuccio che la copre fino alla caviglia, e stivaletti neri, alti fino al polpaccio. E porta i lunghi capelli neri agghindati in un voluminoso posticcio chignon, alto sopra la testa. Sulle labbra ha un rossetto violaceo, gli occhi sono bistrati di scuro; la pelle è bianchissima, a far contrasto. Non porta la borsetta, in mano ha solo una sigaretta accesa. Non ho colto il suo sguardo, ma se lo avessi fatto, che avrei potuto interpretare? Forse che ama (tra)vestirsi da strega. Per essere se stessa, o per voler apparire? Propendo per la prima ipotesi. Che io sappia, in città non ci sono rappresentazioni teatrali che contemplino la presenza di attori così vestiti. E mentre continuo a camminare, per riempire il tempo frullo nella testa cosa potrebbe mai essere la sua vita. Il suo lavoro. La immagino asettica assistente di un anatomo patologo, con la mascherina sulla bocca, nell’obitorio di un giallo all’italiana. Oppure a vendere incensi dietro un banchetto del mercato rionale. Oppure in un fumoso e scuro negozietto, dove si vendono fiori: ma solo composizioni di fiori morti e secchi, ovviamente. E l’amore? Che tipo di amore è il suo ideale, nell’amplesso? Forse quello da consumarsi in un bosco, in un cerchio magico delimitato da candele accese, tra le strida dei gufi e delle civette. Oppure, perché no? Sul freddo marmo di una tomba, fra ossa scricchiolanti, laggiù, nel cimitero: piangendo per il piacere di poter osservare nel momento di godimento tutte quelle bianche dolenti croci, assenti e mute. Poi penso: io la immagino in questo modo per un processo mentale quasi inevitabile, perché ho un metro di giudizio parzialmente inquinato dall’immediatezza dell’esteriorità, e da alcuni valori troppo borghesi, forse perfino crepuscolari. E quella figura immaginaria vestita di un nero mantello, partorita con troppa facilità, già non mi piace più. Così, cercando di dare alla sconosciuta una più autentica identità, ricomincio a ricostruirla d’accapo, partendo da un’altra prospettiva… (Giulia_live)