ROSSO DI SERA

L'Albero Solitario


 
  * Adoro l’Albero Solitario. Quell’albero dalla maestosa chioma che si eleva con superba imponenza dominando un prato, o una radura nel bosco. Costretto a crescere da solo, privo del conforto di potersi appoggiare a qualcuno della sua specie a lui vicino, negli anni si è temprato e irrobustito al suono degli schiaffi di certi venti perfidi e inclementi, abituandosi in tal modo ad affrontare, sempre più impavido, la propria sorte. A essere sì pronto a piegare le fronde, gemendo, ma non senza poi rialzarle con uno scatto imperioso, quasi a voler canzonare la furia inutile dei venti crudeli e capricciosi, e la violenta imprevedibilità delle tempeste. A essere pronto anche a sopportare le fitte dei raggi cocenti del sole scuotendosi appena appena con un fremito di finta indifferenza, oppure appisolando le foglie assai snervate in un verde e quasi inerte respiro. E d’inverno, eccolo che sghignazza: e che sarà mai questa bufera di neve? Quando ne sarà stufo basterà scrollare i rami, e la neve scivolerà a terra! Crescendo, l’albero si è saldamente ancorato alla terra con radici grosse e profonde, durissime vene che imbevendosene succhiano il suo generoso e fertile sangue. Sopporta l’inverno chiudendosi in un immobile respiro, sognando quella felicità che lo invade quando nella bella stagione può ascoltare la musica dello stormir delle sue fronde, e quel festoso accogliere l’acqua venuta dal cielo per benedirlo se ha caldo e sete. Sa che a fargli compagnia arriveranno  frotte di uccelli canterini che frequenteranno chiassosamente i suoi rami, per poi covare nei nidi; e chiocciole che scaleranno il suo tronco trasportandosi appresso la casetta, ostinate e imperterrite o forse svampite; e ghiri e scoiattoli che agitando minacciosamente la coda si contenderanno la tana, quei bui orifizi scavati dal tempo sotto le ascelle dei rami. A ogni inverno l’albero si disegna un nuovo cerchio a formare il suo tronco: lo fa in memoria delle amatissime foglie che in autunno furono costrette ad abbandonarlo denudandolo, accartocciandosi in un giallo e fremente planare al suolo, forse piangendo.   (Giulia_live)