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20 minuti di noia


In queste settimane Daniel Pennac ha fatto il giro di tv, radio, giornali per promuovere il suo ultimo libro “Diario di scuola”, in Italia pubblicato da Feltrinelli. E’ un insegnante che ricorda di essere stato allievo non particolarmente brillante e che cerca di capire quali siano i meccanismi che scattano da entrambe le parti. Durante l’intervista rilasciata a Fahrenheit ha ricordato il passaggio del suo libro in cui racconta quando, da insegnante, prescriveva ai suoi alunni 20 minuti di noia. I ragazzi di oggi, dice Pennac (ma non solo lui), sono sempre alle prese con qualcosa da fare, da acquistare, da consumare. Il silenzio, la solitudine, la noia diventano allora occasioni per ritrovare se stessi, per aprirsi alla conoscenza fondamentale, per capire che la grammatica e la matematica, per esempio, vissute come inutili, danno forma e struttura alla mente. Ora io mi chiedo: esiste qualche genitore che non teme di sottrarsi alla tendenza generalizzata di riempire la vita dei figli di cose da fare? Che riesce a convivere con il fatto che saper fare qualche sport in meno, conoscere qualche lingua straniera in meno non rende suo figlio un minus habens sociale? Mi rendo conto che è difficile, soprattutto perché una simile convinzione deve passare anche ai ragazzi, scontrarsi con il loro naturale conformismo. Ma, soprattutto, possiamo ancora farlo? Perché Pennac stesso constata che, rispetto a quando lui era bambino “la differenza fondamentale è che io non ero il cliente della società in cui crescevo.”