le parole del corpo

L'atlante dl corpo sparito (2P)


Il privilegio che Platone concede all'occhio fonda la cultura greca che privilegia il vedere e l'i-deare, quindi quel mai dismesso ricercare che è apertura senza confini alla conoscenza. In ciò la differenza della cultura greca da quella ebraica che, alla visione dell'occhio privilegia l'ascolto dell'orecchio che non deve essere sordo alla parola di Dio. Due culture antitetiche, poi fuse in Occidente, che hanno nel privilegio di due diversi organi del corpo la loro matrice. Una, che di visione in visione fonda l'oltrepassamento del già noto, l'altra che, nell'ascolto della parola e nella sua trasmissione, fonda la tradizione e mantiene le connessioni con la radice.Punto di incontro è la parola che tiene in consegna sia verità sia menzogna.La bocca è un organo equivoco, anche quando si affida a quel gesto che è il bacio.E la bocca che la pronuncia diventa arbitro sia di parole di verità spesso disertate da persuasione, sia di parole persuasive che non contengono un grammo di verità.Organo equivoco la bocca, sia quando si esprime con le parole, sia quando si affida a quel gesto che è il bacio, a cui si consegna sia l'amore, sia il tradimento. Perché tante sono le potenze espressive del corpo e infinite le possibilità dei suoi messaggi che, dopo la riduzione del "cor-po" a "organismo" operata dalla scienza, noi rischiamo di non percepire più.Divenuti sordi ai suoi messaggi che più non sappiamo decifrare, il nostro corpo è diventato una scatola chiusa che noi consegniamo all'estetica per la sua parte esterna e alla scienza medica per quella interna. Per l'estetica noi ci separiamo dal nostro corpo con cui più non ci identifichiamo e perciò lo dobbiamo ricostruire. In palestra, dall'estetista, ogni mattina prima di uscire di casa. Non più il nostro corpo come veicolo nel mondo, ma il no-stro corpo come ostacolo per essere al mondo.Agiamo sul nostro corpo come se non coincidessimo più con lui, ma abitassimo una regione diversa, lontana, separata. Un io de-corporeizzato che, invece di coincidere con il proprio corpo per agire nel mondo, agisce sul proprio corpo per costruirlo secondo quei canoni collet-tivi di bellezza che fanno del nostro corpo un manichino, dove a dettar legge è la moda del tempo.E così operiamo una scissione tra l'io e il nostro corpo, come è noto (in un registro più tragico) ad ogni espe-rienza schizofrenica che vive il proprio corpo come altro da sé. Sull'altro versante, quello interno, tutto è diven-tato una scatola nera dove solo i tecnici della scienza medica sanno fare opera di decifrazio-ne.Qui il simbolo diventa sintomo, e la simbolica del corpo diventa sintomatologia.Quando si ammalano, i nostri organi non ci raccontano più la nostra vita: i nostri vizi, le nostre virtù, le nostre abitudini, i nostri traumi, le nostre inclinazioni, lo stile, che vita facendo ha assunto la nostra esistenza.Quando si ammalano i nostri organi ci allarmano, e invece di raccontarci cosa va o non va del-la nostra vita, diventano subito presagio di morte. Come se noi morissimo perché ci siamo ammalati, mentre il nostro corpo sa che ci ammaliamo perché fondamentalmente dobbiamo morire.Il nostro corpo infatti conosce solo il consumo e il godimento e nulla sa di quell'immortalità di cui va fiera l'anima, e che la scienza medica, in alleanza col desiderio di infinito, neppur troppo nascosto nelle cantine della nostra anima, vorrebbe far sognare al corpo. Ma il corpo conosce il suo limite, riverbero della sua saggezza, per cui Nietzsche può dire, e noi in accordo con lui: "C'è più ragione nel tuo corpo che nella tua migliore sapienza" .Umberto Galimberti