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Yield viene tradotta dal vocabolario inglese con cedere, essere soffici, arrendersi e, in altre due accezioni, con dare la precedenza o dare frutto. In realtà, lo yield che c’interessa è quello che viene tradotto con cedere, ma che in realtà non è un cedere proprio per niente, e tantomeno un arrendersi. Tutt’al più è un lasciarsi andare, senza perdersi però, e ha una qualità di consapevole farsi incontro.
Prendete ad esempio il rapporto con la forza di gravità. Una persona può resistervi, mantenendo la posizione eretta con una certa fatica muscolare e psicologica; oppure può collassare sotto il suo effetto, curvandosi o, all’estremo, piombando a terra; oppure può yield, dare consapevolmente il proprio peso alla superficie che lo sostiene, ricevendone in cambio una spinta uguale e contraria che le permette di svettare verso l’alto con leggerezza, senza sforzo.
Allo stesso modo, si può yield nel rapporto con un’altra persona: senza irrigidirsi, stare sulla difensiva, né perdersi in una confusione simbiotica; fate l’esperimento: con un partner, trovate un punto di contatto fisico: sul braccio, il fianco, la spalla. Poi spingete entrambi, come a braccio di ferro; quindi, a turno, arrendetevi; infine trovate un equilibrio, in cui percepite l’uno la forza dell’altro, e al tempo stesso la reciproca presenza.
È una qualità che si trova in un abbraccio tra amici, in un sano rapporto genitore/figlio. Ed è una qualità che è molto utile trasferire anche nel nostro rapporto con la vita stessa: in un periodo difficile, ci si può incaponire nel tentativo frenetico di reagire, di darsi una mossa a tutti i costi, come un Laoconte che lotta con i serpenti per trovarsi ancora più strettamente avviluppato nelle loro spire. Oppure si scivola nella tentazione opposta, di lasciarsi travolgere dagli eventi senza vedere oltre la contingenza problematica, disperandosi, rassegnandosi.
Yield alla vita è invece come una conseguenza naturale dell’aver fede in quello che il destino ci propone, fiducia nel fatto che c’è un’intelligenza in ciò che ci accade, anche se può non essere subito evidente, e dura da accettare nelle sue manifestazioni.
È un trovare conforto in quello che c’è, piuttosto che ossessionarsi con quello che manca, non per un acquiescente “chi si contenta gode”, ma come mezzo per recuperare le forze, e per coltivare l’arte della pazienza pur senza perdere di vista i propri obiettivi.
Ed è anche una sorta di aikido con gli avversari, concreti o simbolici, che la vita ci para davanti: unirsi con la forza che ci contrasta anziché combatterla colpo su colpo, evitando di soccombere ma accompagnandola dolcemente fino al punto in cui non può che cambiare direzione, questa volta a nostro palese vantaggio.
P. N. Teatini
dal numero 1 della pubblicazione H'Q
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