Tana del Leprecano

Girls & Boys: The Organ e The Ordinary Boys


Il tempo passa e ci ritroviamo sempre al punto di partenza. Ma chi lo avrebbe mai detto che nel nuovo millennio ci saremmo trovati a rivivere una versione condensata e contratta degli anni ’80? Per quanto riguarda la musica credo ci siano pochi dubbi a proposito. Buona parte dei ragazzini che impazzano su Flux (la sorellina indie di MTV) sembrano saltare fuori da un mondo in cui la new wave non è mai passata e le chitarre di Tom Verlaine continuano a ripetere all’infinito l’accordo secco e nervoso che squarcia il nero, all’inizio di Marquee Moon (che, sia detto per inciso, sapevamo già essere uno dei dischi più belli della storia, e ora scopriamo con un po’ di stupore che è anche uno dei dischi più influenti degli ultimi 30 anni). Nella marea di cloni leccati di quegli anni (gli anni di Gang of Four e Bauhaus, di Talking Heads e XTC, per capirci) ogni tanto arriva qualcuno che si tira su dal mucchio per dire “Ehi, ci sono anch’io!”. Voglio segnalare due dischi. Il primo è Grab That Gun della all female band The Organ, il secondo è uscito qualche tempo fa, nell’estate 2005, ed è Brassbound dei The Ordinary Boys. Sono i tipici dischi che non sposteranno certo in avanti le coordinate del rock, ma che ci ricordano che si può ancora suonare musica che acchiappa l’ascoltatore senza inseguire le copertine dei giornali e senza proporsi come l’ennesima big thing dei poveri. The Organ suonano come un mix inquietante di Smiths e Cure. Ma nel vero senso della parola: ascoltandole si ha l’impressione che le balde ragazze canadesi si siano risvegliate dopo vent’anni di coma e che ignorino cosa è successo nel frattempo. Ma l’effetto, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, è favoloso: dei Cure più taglienti o degli Smiths più cupi o dei Joy Division più melodici centrifugati in un disco che spazza via la concorrenza. Immaginario queer e testi malinconici, con una continua apparizione della pulsazione ipnotica di The Forest, con Johnny Marr al posto di Robert Smith e una Patti Smith giovane e lunare alla voce. Brother, Steven Smith e Memorize the City sono piccoli gioielli pop perfetti, ma tutto Grab That Gun viaggia a livelli altissimi. Per quanto riguarda The Ordinary Boys, le coordinate sono leggermente diverse: revival ska, eleganza proletaria da mod ritrovati, melodie avvolgenti. Periferie londinesi abitate da oscuri sessionmen Motown che suonano riff assassini dopo aver incontrato Joe Strummer. Ci ricordano insomma che l’Inghilterra non è solo la patria di Beatles e Stones, ma anche di dandy rabbiosi e pieni di stile come Kinks e Jam e, soprattutto, dei geni della 2-Tone, la label che ha praticamente reinventato lo ska alla fine degli anni ‘70. Perciò via con dosi massicce di ritmi in levare e aromi di Madness e Specials. Tanto soul e chitarre che pestano, tra You Really Got Me, All Mod Cons e i Clash meticci di Sandinista con qualche apertura dub. E le canzoni che ti rimangono i testa? Ci sono: Boys Will Be Boys, Life Will Be The Death For Me, One Step Forward (Arctic Monkeys in anticipo di qualche mese), A Call to Arms, Rudi’s Love (cover dei Locomotive) e la title track. Altro disco perfetto (alla faccia dello ska soporifero e organolettico del buon Giuliano Palma). Non so se ci ritroveremo fra trent’anni a ricordare tutto questo. Ma per il momento godiamoci questo 80’s British Revival. Parafrasando gli XTC, This Is Pop…