...fini la comédie

La vigna - Norberto Sabatini


 Buonasera Liliana e amici. Con vivo piacere rieccomi qua tra voi. Tempo fa ho pubblicato il racconto del mio amico Norberto ed ho visto che lo avete molto apprezzato. Per questo ho deciso di proporvi un suo nuovo scritto, sperando possa incontrare il vostro gradimento. Buona lettura.                                                          La vigna Al vecchio piaceva sentirsi chiamare nonno. Gli occhi chiari, un po' acquosi, guizzarono di soddisfazione, quando Angelo gli disse: - Nonno, da questa parte. - Il sole batteva forte, in quel primo pomeriggio di giugno. Il vecchio abbassò lo sguardo a terra, cercando l'ombra dell'antico glicine,
ma non la trovò, e lasciò vagare lo sguardo intorno a sé, allora, sull'ampia veranda, adesso riparata da un folto pergolato di vite canadese. - Oh! - esclamò. E poi disse: - Ma come avete fatto? - - Ci siamo dati da fare - rispose Angelo sorridendo. Il tavolo era apparecchiato per due, e il vecchio si lasciò condurre fin lì dal nipote e lasciò che il giovane lo aiutasse a sedersi. Faceva caldo.
Il cappello di panno, con la penna di fagiano infilzata nella fascia, gli dava fastidio, e allora il vecchio lo tolse appoggiandolo sul tavolo. Poi, con le mani rugose e scarne, carezzò la tovaglia, continuando a guardarlo. La penna di fagiano risaliva al 1938. L'animale, che sembrava ormai fuori tiro, lo aveva come sfidato a una fucilata memorabile, e lui non si era lasciato ripetere l'invito. Qualche piuma, con gli anni era andata persa, ma la penna resisteva al tempo, proprio come i ricordi. "Domani, nonno, vi porto là, all'inaugurazione" gli aveva detto Angelo. Ed ora, l'immagine di quel luogo cozzava con quella che portava in sé da sempre: un pezzo di terra proprio sotto 'i massi' di Roccatederighi.
Da laggiù, alzando lo sguardo, si poteva vedere il campanile della Chiesa farsi largo tra i sassi secolari. Cinque ettari, un po' pianeggianti e un po' scoscesi, circondati da un bosco di querce, laggiù fino al ruscello e lassù verso 'i massi', quasi volessero gli alberi incamminarsi incontro alla Chiesa. Il vecchio si guardò intorno. Tutto era cambiato, solo il nome restava. LA VIGNA, scritto in grande sotto la parola Agriturismo. Aveva fatto
appena in tempo a leggerlo. E poi… Tutta quella gente che stava arrivando all'improvviso. Persone giovani e ben vestite. Uomini e donne dalla risata pronta, che a stento gli gettavano un'occhiata. - Angelo, chi sono? - domandò. - Sono gli invitati, nonno. - Il vecchio si mosse sulla sedia. Era un po' come per la trebbia. Anche allora la Vigna si affollava di gente. Uomini e donne bisognosi di lavoro, che campavano alla giornata, e venivano a trebbiare in cambio di un po' di grano, un piatto di pastasciutta e un buon bicchiere di vino. La mietitrebbia sostava laggiù, al posto di quella specie di veranda che c'era ora.
Quella pedana di legno, circondata da un recinto e coperta da un telo che, aguzzando la vista, gli parve fosse a strisce bianco azzurre. Le estati erano ben altro che oggi, pensò il vecchio. Il solleone batteva come un maglio, si sudava come capre e in una giornata andava via una damigiana di vino. Un'altra damigiana andava al padrone della macchina, gli accordi erano a voce con tutti: una stretta di mano e via. Si cominciava all'alba, e andando avanti gli uomini toglievano la camicia e poi la canottiera. Proprio allora, quando tutti erano ormai a torso
nudo, le donne cominciavano a preparare il pranzo. - Ecco, nonno, questo è per voi - disse Angelo, appoggiando sul tavolo un piatto fumante e una bottiglia di vino. - Non mi fai compagnia? - chiese il vecchio. - Torno subito - e il nipote sparì come era apparso, incontro a una coppia appena arrivata. Il vecchio chiuse gli occhi e annusò. Sì, pappardelle al sugo di lepre. Chissà se giravano lì intorno anche ora, con tutta quella gente a
pesticciare dappertutto, o se erano andate via per sempre. Anche un animale ha bisogno di ritrovare i suoi luoghi, e quello, oramai, non era più lo stesso. Capitavano sempre durante la trebbia. Un volta, non ricordava che anno fosse, ne avevano ammazzate tre. "Corrado! Corrado!" s'era sentito chiamare, proprio mentre aiutava due ragazzi a tirare su una balla di fieno. "Piglia il fucile, Corrado!" Un'abitudine, quella di portarsi dietro il fucile, che avevano preso un po' tutti. E quel giorno… altro che la gente ora a passeggio in quel prato, senza capo né coda! Quel giorno, c'erano almeno cinque 'doppiette' alla Vigna, e tutti a correre verso la casetta, e poi ad afferrare il fucile, imbracciarlo e sparare al primo animale che passava. Una festa! No, non come questa di oggi. Una festa più semplice, più vera. Sua moglie Annina, che Dio la riposasse in pace, aveva spellato le lepri insieme ad altre donne. "Si farà tardi per la trebbia" dicevano gli avventizi, ma senza convinzione. Le lepri erano state cucinate e mangiate. S'era dovuto intaccare una seconda damigiana, e la trebbia era continuata fino a sera inoltrata,
sotto una luna così chiara che pareva fabbricata apposta per l'occasione. Bevve un sorso di vino. Buono, pensò, ma non genuino come ai miei tempi, quando la vendemmia era un avvenimento. Il vecchio girò lo sguardo intorno, per vedere dove un tempo si ergevano i filari. Era un po' prima del bosco, laggiù verso il ruscello. Lo scrosciare dell'acqua teneva compagnia, uomini e donne coglievano le zocche fino a colmare le ceste di vimini sparse lì per terra. Il frantoio era su, in paese. La strada non era come ora, che lui non l'aveva neppure riconosciuta. Avvolta come un viticcio, sassosa, i cespugli di rovo che ciondolavano da tutte le parti, era buona solo per il suo vecchio somaro. "Arri là!" gli gridava appena saltato sul carro, già pieno di ceste d'uva. "Arri là!" E la bestia partiva, verso Roccatederighi. Tre, quattro viaggi al giorno. Una settimana intera di lavoro per sé e gli avventizi, che non aspettavano altro. Il vino veniva sempre regolare, mai un'annata che sgarrasse. A sera, nel frantoio con pochi amici, andavano via anche due fiaschi. Fresco che era una meraviglia, tenuto laggiù, nel seminterrato, insieme al formaggio stagionato e ai cipollotti. La vigna, grazie a Dio, bastava e avanzava. E poi c'era la caccia. Finì le pappardelle e bevve un sorso di vino. Proprio buono, pensò. - Nonno avete mangiato? - la voce di Angelo trillò come un fringuello. - Ho mangiato bene, sì - rispose, voltandosi per vedere dove fosse il nipote. Il ragazzo sedette con lui e si riempì il bicchiere. La gente continuava ad arrivare a frotte, e grida e risate si rincorsero sotto la pergola per disperdersi nell'aria. Al vecchio parve di udire qualcuno parlare in tedesco. - Angelo, andrei volentieri un po' in giro - disse. S'incamminarono a passi lenti oltre la veranda, e il vecchio vide il ristorante e il bar, là, dove prima c'era la casetta degli attrezzi e l'altra stanza attigua, quella usata dalle donne per cucinare.
Era senza parole. L'oliveto ora non c'era più. Al suo posto una distesa d'acqua, sedie intorno e grandi ombrelli aperti e chiusi. - E' una piscina, nonno - spiegò Angelo. Il vecchio sentì crescere dentro una gioia folle. Nel '45, i Tedeschi in ritirata, avevano trinciato i rami agli olivi, sradicato le viti, e imbrattato la casetta che nemmeno un branco di maiali avrebbe fatto di meglio! Il fieno dato a fuoco. La Vigna era stata il rifugio per lui e tutta la famiglia. Tre giorni nascosti dietro l'argine del ruscello, lui Annina e i due figlioli, le bombe che fischiavano sulle teste per colpire alla cieca qua e là. Avevano imparato a riconoscere i mortai tedeschi dai cannoni degli americani, alla fine. "Oddio che disastro!" aveva esclamato piangendo la moglie quando, il quarto giorno, dopo una notte tranquilla, s'erano persuasi a uscire allo scoperto. "E ora? Che si fa?" avevano piagnucolato i due ragazzi. Annina non aveva fiato che per respirare. "Ricostruiremo tutto" lui aveva detto, facendosi forza perché non tremasse la voce. Sì, era tutto bello ora, queste costruzioni nuove, ma allora… Un figliolo di dieci e uno di dodici anni, che avevano imparato presto cos'era la campagna. Ma quella più dura, il lavoro che assodava i muscoli, abbronzava le spalle e screpolava le mani. Un mese intero vissuto lì, alla Vigna, perché in paese i Tedeschi s'erano asserragliati nelle case. "Ci vorrà tempo prima che si possa tornare" aveva detto alla famiglia riunita. "La prima cosa da fare è rimettere a posto la casetta." Due giorni per poterci abitare. I ragazzi avevano prosciugato il ruscello, a forza di portare su secchi d'acqua per lavare dentro. Le notti all'aperto, sotto il bosco di querce, il sonno pesante di chi
non ha chiuso gli occhi per le cannonate. Una mezza giornata era andata via per recuperare gli attrezzi, sparsi dappertutto, poi aveva insegnato a Dario e Bruno come si fanno gli innesti. I ragazzi, dopo i primi dieci olivi, erano andati avanti da soli. E le viti… Un lavoro delicato, e chissà se l'uva sarebbe tornata uguale. Avevano recuperato tutto quello che era stato possibile. I solchi erano stati rifatti alla svelta, zappando anche la notte, perché i viticci recuperati non seccassero. Dov'era stato possibile, lui aveva innestato i tralci, ma i Tedeschi s'erano proprio accaniti.
Giunsero vicino al ruscello. I viticci erano ora più rigogliosi che mai, anche se pochi filari erano stati lasciati in piedi. Il vecchio si accostò e carezzò delicatamente una foglia. - Passata la guerra - disse con enfasi - si tornò a fare l'uva e il vino meglio di prima. - Il nipote lo guardò. - Babbo Bruno e zio Dario vi aiutarono. Vero nonno? - domandò. - Se non avessi avuto loro, da solo non ce l'avrei fatta - lui rispose. - E anche dopo, quando la campagna tirava ancora e bastava per casa, tutt'e due venivano con me, quaggiù, a levarmi qualche fatica. Poi…- Tacque. Aveva sofferto a vedere i suoi figli lasciare la Vigna, poco a poco. "La campagna non basta più" diceva Annina. "Lo vedi anche te, che si tira avanti a fatica." Ma non era facile staccarsi dai sogni, non era facile accettare la realtà, come se i sogni non fossero neppure mai esistiti. Dario non si era mai sposato. La Montecatini, era stata per lui l'unica moglie. Una vita di soddisfazioni. Denaro sì, ma lontano da casa, dalla sua storia, lontano da quel pezzo di terra, un posto dove non aveva mai più rimesso piede. Solo Bruno aveva retto, benché la miniera avesse inghiottito anche lui. Il vecchio guardò il nipote. - Se la Vigna non è andata in malora - disse - è grazie al tu' babbo. Lavorava a Boccheggiano e mi aiutava nei momenti liberi. Quante volte ha dato il rame alle viti, appena uscito dal turno. E quante notti ha fatto in miniera, dopo essere stato qui a cogliere le olive. - Il sole era un po' sceso, e adesso si trovarono nell'ombra, ai confini del bosco. Il vecchio sospirò. Poi, era finita anche quella. "Babbo non ce la fate più" gli aveva detto un giorno Bruno. "Non potete più andare alla Vigna tutta la settimana, come ora. La pensione l'avete, quel che si può tirar fuori dalla terra…Si vedrà." Così, era cominciata. E sempre più spesso era rimasto a casa, lasciando a Bruno, due o tre giorni la settimana, l'incombenza di venire quaggiù, a vedere come andavano le cose. "Tutto bene laggiù?" gli domandava. E poi: "Gli olivi come vanno? Bisognerà potarli. E le viti? Sono cariche?" Bravo ragazzo, Bruno. Ma poi si era sposato, e la famiglia presto era cresciuta.
- La quercia grossa e ancora lassù? - domandò il vecchio. - Sì - rispose Angelo. - La rivedrei volentieri. - - C'è da camminare, nonno. Vi stancherete. - - Mi riposerò sotto la quercia, come ho sempre fatto. - S'incamminarono a braccetto, e il ragazzo lo aiutò e lo sostenne, nei punti dove la terra era ancora irregolare. - Ai miei tempi - disse il nonno, - proprio qui, dove siamo ora, il grano cresceva così alto che ci si sarebbe potuti nascondere in mezzo. - Il nipote sorrise, e il vecchio indovinò, in quel sorriso, lo stesso di Bruno. Erano tornati alla Vigna, ogni tanto, quando il nipote era bambino. Nelle giornate di sole, con la strada asciutta e in macchina si poteva venire fino al margine del bosco, lassù in alto, dove stavano andando adesso.
Angelo sgambettava felice, il sole lo abbronzava. Annina e la nuora preparavano qualcosa da mangiare e lui si faceva condurre in giro, a vedere gli olivi e quei pochi viticci che erano rimasti. Gli si stringeva un po' il cuore in quei momenti. E nel pomeriggio, quando Bruno tagliava la legna per il caminetto, contro le proteste delle donne che lo volevano a riposare, si rimboccava le maniche. "Sono ancora buono a spaccare un ciocco" diceva. E giù colpi, finché il sudore non gli bagnava la falda del cappello, arrivando anche alla
penna. - Ci saranno più di centocinquanta invitati oggi, nonno - disse Angelo. Al vecchio di nuovo brillarono gli occhi. Si sentiva proprio felice. Certo la campagna non sarebbe durata in eterno, dentro di sé lo aveva sempre saputo. Ma aveva sempre scacciato il pensiero, per godere la terra giorno dopo giorno, un anno dietro l'altro. Poi Annina se n'era andata, portando con sé un pezzo di Vigna. Mai più sarebbe stato come prima, tornare quaggiù, tra i covoni di fieno e in mezzo agli olivi. Poi…Attraversarono la veranda, facendosi largo tra la gente. La quercia grande era lassù, il vecchio la vide e sentì come una scossa arrampicarsi su per le gambe. Senza Annina non era più tornato, solo Bruno, di tanto in tanto e per la colta delle olive ci veniva. Lui gli domandava solo come andasse. Poi… Raggiunsero la quercia. Da lì si poteva vedere tutta la costruzione allungarsi giù, fino al ruscello, e stendersi là, dove prima c'erano gli olivi. "Due anni di lavoro" gli aveva detto Angelo, in macchina, mentre venivano. La strada era asfaltata e lui non era riuscito a scorgere neppure un cespuglio di rovo. Si sentì ancora più felice, ora, di fronte a quel panorama. In un altro modo, in un modo diverso, la sua Vigna tornava a farsi utile, dava da vivere ad altra gente. - Nonno - lo chiamò Angelo. Il vecchio si voltò e guardò il nipote. Il ragazzo tirò su col naso e si stropicciò gli occhi. - Grazie nonno - disse. Sì, era stato due anni fa, quando Angelo aveva spiegato il suo progetto, quest'idea di fare… "Un agriturismo" aveva detto. E lui, per la prima volta, aveva sentito quel nome. "Naturalmente, nonno, la terra ve la compro" aveva aggiunto poi. Ma lui non aveva voluto niente. "Te la regalo, è tua" gli aveva detto allungando la mano, come quando si accordava per la mietitrebbia. "Per le carte ci sarà tempo dopo."
- Quel che ho visto m'è bastato - ora disse il vecchio. - E non c'è un ringraziamento migliore.- Il nipote si avvicinò e lo abbracciò, stringendolo forte a sé. E per un po' stettero così, come se nessuno sapesse dire altro. - Un posto così non c'è in tutta la Maremma - disse infine Angelo. - Lo so - rispose il vecchio. - E se gli vorrai bene come gliene ho voluto io, allora vedrai. -
Il sole stava calando. La quercia appariva maestosa, avvolta da strati e strati di sughero che nessuno aveva più colto. L'ombra era estesa, invitante. - Mi riposerò un po' - disse il vecchio, sedendo ai piedi dell'albero. Teneva ancora il cappello in mano, se ne accorse appoggiandosi al tronco mentre stendeva le gambe. - Tieni - disse al nipote - mettimelo tu, come sai. - Angelo sorrise. Poi si chinò e gli appoggiò il cappello in testa, calato sugli occhi e appena inclinato da una parte. Perché la luce non disturbasse, ma illuminasse meglio la penna.                               -°-°-°-°-°-°-°-°-°-°-°-°-°-°-° Norberto: "Nel racconto, il Vecchio nonno si ispira al mio nonno materno, il quale portava sempre un cappello con annessa penna di fagiano. La vigna esiste davvero e le storie di guerra sono tratte dai miei ricordi d'infanzia, quando le sentivo raccontare da mamma, zii e zie. Il resto è fantasia. Scrissi questo racconto nel 2004, in una settimana e il racconto ebbe fortuna."                Un ringraziamento a Paperinopa_1974 che mi ha aiutata a cercare il brano che ascoltate.                                           Un abbraccio                                                 Sonia