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Messaggi del 13/03/2014

DALL'INFERNO ALLA FELICITA' SENZA MUOVERE UN PASSO

Post n°618 pubblicato il 13 Marzo 2014 da Redendacc
 

 

Dopo le mie precedenti incursioni dei post scorsi in campi non proprio di mia pertinenza, quali il cinema e la cucina, questa volta torno a ciò che so fare meglio o, se vogliamo, meno male: parlare di poesia. Vorrei iniziare da una citazione di Italo Calvino

che mi è capitato di leggere di recente.


"L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.".


Una citazione che mi ha colpito non solo perché in questi giorni sto leggendo l'ultimo romanzo di Dan Brown che, appunto, si chiama "INFERNO", ma anche perché mi sembrava attinente con una poesia che ho scritto qualche settimana fa a completamento di un progetto di cui vi parlo oggi nel mio blog. In realtà potrei dividere la citazione di Calvino in due momenti. Il primo, diciamo, si potrebbe descrivere con questa mia vecchia poesia che anche graficamente rende l'idea.


INFERNO

Affoghi

         Nel

                   Dolore

                            Senza

                                      Mai

                                               Annegare.


Il secondo, invece, si potrebbe far coincidere con questi miei versi recenti di cui vi parlavo prima, dove si rappresenta l'inizio della consapevolezza di quanto affermato da Calvino nella seconda parte della sua citazione.


 Malinconia

 

Cammino a capo chino,

è il peso della tristezza

che grava sulla testa.

Quanti giorni sono

che non rivolgo

lo sguardo al cielo?

Chissà quanti scenari

mi ha rubato

questo fardello.

******

*********

Quanto descritto in questi versi è l'esatto momento in cui ci si accorge che il tempo trascorso a macerarsi l'anima è stato un tempo in cui si è perso tutto il mondo volutamente lasciato fuori. S'inizia a rialzare la testa e a guardarsi nuovamente intorno, a rivolgere gli occhi al cielo pensando "Comunque sia voglio vivere bene almeno quello che ho.". Così mi viene in mente una frase anonima, che poi si rifà a S. Agostino ("La felicità è desiderare quello che si ha."), e che dice esattamente "la felicità non è avere tutto ciò che desideri, ma desiderare tutto ciò che hai". Non so cosa ne pensiate voi. Io, però, credo che questi due ultimi pensieri non vadano applicati rigidamente. Apprezzare ciò che già si possiede, senza ignorarlo o darlo per scontato, non deve frustrare l'umana necessità di migliorare, se stessi e la propria condizione. Quando si precipita all'inferno, bisogna si fare il punto della situazione e chiedersi cosa si ha ancora a disposizione, ma ciò deve servire non a sfoderare un sorriso nonostante tutto, quanto piuttosto a usare ciò che rimane a disposizione per uscire dall'inferno.

Un dovere verso noi stessi. 

 

 



 
 
 

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