lagiustadistanza

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Tempo fa.  Tanto tempo fa, un tempo talmente lontano che non lo ricordo. Bene, in quel tempo indefinito in cui siamo qualunque cosa e nessuna cosa, i miei genitori avevano un problema.Un mio problema.  Anzi, io, il problema. Come si sceglie il nome di un bambino?  Le coppie, quelle giovani, ci scherzano su.  Qualche donna non sa nemmeno se avrà un compagno e già ha scelto.  I miei no. I miei si sono ritrovati me.  Io, che sono arrivata dopo un altro.   Un altro che nessuno ha conosciuto mai. Perhé a volte si nasce, ma già non si respira più.   Lui doveva essere me.  Io non sarei dovuta mai essere. A volte i particolari ti sfuggono. A volte non ci pensi proprio.  A volte è meglio non pensarci. Ed ecco i destini possibili.  Poi arriva questa faccenda dei nomi.  Io dovevo essere Lucia o Maria. Una Lucia qualunque, una Maria qualunque. I miei, questa è la cronaca asciutta, sono arrivati all’ultimo giorno utile per la registrazione del mio nome, senza il mio nome.    Io sono la seconda o forse la prima...io sono l’unica. E c’è un momento in cui le parole di mia madre si fanno dolci.  Ed allora, per cancellare gli altri destini possibili, mi dice una cosa.  “Quel giorno, ti portavo nella carrozzina, si è avvicinata una signora. Ti ha guardata incantata. Poi si è voltata verso di me, con fare quasi imbarazzato e mi ha detto: c’è il mondo in quegli occhi”.  Avevo gli occhi belli. Ho gli occhi fragili. Scelgo il mio destino possibile. Scelgo la mia felicità. E lo faccio con tutta l’aria che ho nei polmoni.