Creato da Driade_degli_alberi il 17/11/2010

Notturno

Lettere allo psicoanalista

 

 

Il calore della stanza d'analisi

Post n°10 pubblicato il 26 Dicembre 2012 da Driade_degli_alberi

Il senso di calore che emana la stanza 'analisi è una strana sensazione, è un calore si, ma non fisico e non metaforico, è un calore dell'anima, è un calore che pulsa soavemente.

Come se dentro questa stanza l'anima si fosse riscaldata, dopo tanto tempo al gelo, come se avesse trovato la strada per la vita. E' lo stesso tepore che fore si prova nel tornare a casa, anche se fuori fa molto freddo, chissà per quale strana ragione, la strada del ritorno è più calda, più confortevole.

La stanza d'analisi forse emana questo tepore, apparetemente una stanza qualsiasi, mobili qualunque, piante qualunque, una finestra e una luce,  il lettino, non qualunque, ma vissuto come freddissimo talvolta, che tuttavia emana quel calore, dolce magnete, alveo dei pensieri. D'un tratto i mobili non sono più quei mobili, ma arredamento del sogno, dell'intima stanza sognata. Precursore reale della stanza immateriale,  la stanza più importante quella meta-interioriore. Lo spazio interno che si porta dentro di sè, dove si esiste e dove la mente, fertile, incontra il cuore,  il vissuto carnoso e carnale del corpo-emozioni, divenendo pensieri: la realtà sognata, la realtà creata e vissuta dal nostro essere individuo proprio in quello spazio, organo fondamentale per viversi nel mondo.

Quanto calore emanano queste stanze, materiali e immateriali, quanta vita, quanto pulsare.

Un giorno, fuori dalla stanza analitica, dalla mia stanza, quella di me terapeuta e dalla mia stanza, quella di me paziente, ho realizzato che l'intimo spazio -finalmente- fosse ovunque io fossi, un posto dove potermi rappresentare e collocare, dove le mie idee divengono pensieri e vanno incontro alla vita. Dove potermi vivere, nel tepore dell'esistenza.

 

 
 
 

...dopo molti mesi

Post n°6 pubblicato il 10 Ottobre 2011 da Driade_degli_alberi

...e dopo molti mesi, sento ancora il peso dell'indegnità...

come se non avessi il diritto di entrare in quella stanza, mettermi a fianco di quella pareti, con quella finestra, sempre aperta, su un cielo grigio che stamattina sento senza speranza, con quelle porte, vicino alle quali ho spesso fantasticato di accucciarmi.

Mi sento indegna d' amore, -credo che neanche l'amor proprio possa avere lo stesso peso dell'amore di un altro essere.  Mi sento malata, zoppa, sofferente come una reduce di una battaglia, che torna stanca e disillusa, con addosso il peso della sconfitta poichè nulla di ciò che ho fatto, o sono stata, oppure ho detto, nessuna azione, parola, sogno o poesia, canzone  è servito per essersi vicino.

A volte dentro quella stanza ho percepito di essere viva, ho sentito sprazzi di vita, a volte invece mi sento crollare, schiacciata dal tuo ruolo e dalla barricata dei silenzi che mi spinge a guardare altrove e dolorosamente avanti, schiacciata poi, sulla strada che mi riporta a casa, dalla mia incapacità di analizzare i sentimenti, dalla mia cecità, dal mio bisogno d'amore;  ma dimmi tu, che sei il medico della mia anima, sono analizzabili i sentimenti? Se ne fossi capace, se avessi l'abilità di distaccarmi freddamente dalle passioni non verrei più da te, sarei immersa nel mondo a guardare ciò che sono e ...gli altri...  per ciò che sono...

Forse l'errore, la causa del dolore, è proprio l'usare i sentimenti e le passioni come sinonimi, invadendo con i moti del cuore il campo degli altri, mettendo a repentaglio i propri pensieri, in balia delle emozioni più violente e paradossalmente smettendo di viverle, allo stesso tempo, credendo di viverle.

troppo è la nuova parola: sono troppo accesa dentro e spenta allo stesso tempo, sono troppo stanca,  sono stata troppo tenace, nel bisogno di fondermi, la paura di perdere, di staccarmi, di diventare una donna indipendente, vera, nella realtà, che vede e che si prende cura... 

 

 

 
 
 

Amare

Post n°5 pubblicato il 28 Novembre 2010 da Driade_degli_alberi

 

quello che io sento per papà è una perdita senza riparazione, ho perso tutte le sfaccettature del rapporto con lui. Il lavoro fuori, quello vero, della realtà, dei buongiorno e dentro di me l'amore, quello desiderato, sognato, agonizzato. Può una persona entrare ed entrare, giorno dopo giorno, nella stessa stanza senza pensare, vittima solo della necessità di vedere in faccia  l'uomo che più di tutti è riuscito ad entrarle nella carne e nelle cavità del cuore, e mai cin realtà c'è riuscito, abbandonandola. illudersi di trovare papà sarebbe una felicità che però ottenebra, che fa diventare folli, che si rigenera continuamente come un riflesso tra due specchi, infinito e sfuggevole. Vorrei un padre all'infinito. Questi sentimenti che vivono in me non escono da me, non trovano espressione nella vita, non si raffrontano ma mi fanno desiderare mille volte di esistere per lui, e per entrambi i miei genitori. Di stringergli la mano e di sentire il palmo che mi sfiora. Vorrei vederli da lontano, da vicino, vorrei scoprire i meandri di loro,  viverli. Forse tutto questo desiderio è rivolto a delle sagome, come tu dottore ti trasformi in sagoma e come mi trasformo anch'io ...quando penso...Meglio la follia o il pensiero, se questo presuppone la possibilità di perderli ancora? Di non essere amata da loro 

forse, dovrei lasciarli andare?

Ora mi sento spogliata della femminilità, mi sento indegna di amore, indegna e incapace di lavorare a me stessa, di essere una persona indipendentemente dai miei oggetti d'amore, indegna o incapace di amare me stessa. Sparisco, si inaridisce la mente, il cuore ed il corpo, sto perdendo ciò che mi rende ancora capace vivere... 

 

 

 

 

 

 

 
 
 

...Je te veux..

Post n°4 pubblicato il 17 Novembre 2010 da Driade_degli_alberi

 
 
 

Frustrazioni-Pensieri

Post n°2 pubblicato il 17 Novembre 2010 da Driade_degli_alberi

Hanno detto che la frustrazione stimoli il pensiero!

Oggi la giornata scorre, frustrante, alternando a momenti di lucidità i momenti di male, dove il corpo riemerge sotto forma di cuore minaccioso e caldissimo che pulsa e mi invade il petto, la pancia, il volto. In questi momenti _di male_ penso a quanTo mi sento esclusa ed al  difendermi, al giudicarmi senza valutare l' interiorità, banalizzando la  vita e ciò che racconto di me.

Perchè mi rendo banale e mi rimando quanto io sia banale? Sto lottando per dimostrare che non è così, mi ferisce quando liquido in poche e grossolane parole le cose che riporto di me, cambiando quasi gli episodi, i vissuti, falsificando, fraintendendo, dicendo che sono le mie parole false e mutevoli di seduta in seduta, quando in realtà sei TU, altra-me proiettata nel trasfert, che mi fraintendi perchè non mi ascolti, o non lo fai profondamete, non sei con me, mi mantieni lontana e ti tagli fuori dalla mia interiorità. Mi capirai un giorno? Sono stanca di lottare per farmi capire prima da te e poi da me stessa. Ho bisogno di passare prima da te per riconoscermi, per ricontattarmi, ne ho bisogno come acqua o ossigeno; non posso farlo da sola, ora non ne ho la capacità.

A volte sembra di parlare ad una campana appoggiata per terra, le parole non risuonano ma sbattono confusamente come rumori disordinati, mi ritornano spoglie, prive di sentimento, non mie, tanto da non sembrare più provenire da me, dal mio interno,  dalla mia vita, ma da un'altra persona per quanto sono prive di calore. Al mio stupore, rispetto a queste parole morte, strane e lontane, come dei parenti all'estero che parlano familiarmente ma in un'altra lingua,  mi accusi di essere stata falsa, di aver mistificato, quando in realtà sei stata tu a tagliare i significati caleidoscopici di quanto io ho detto.

Accettarli vorrebbe dire accettare i sentimenti che ci sono dentro, i miei sentimenti, nel bene e nel male, sentimenti di una donna  _non di una ragazzina capricciosa.  

Le mie parole forse sono come scatole ricolme di fiori, delizie, tepore ma anche serpenti, paure, misteri angoscianti perchè senza forma. Prenderle, accogliere nel loro contenuto materico vuol dire venire incontro a quanto  chiedo a me stessa, riflessa sul lettino, nella mia incessante richiesta di amore. Prenderle vuol dire  amarmi, stare con me, emozionarsi insieme a me, per te questo è impossibile, inconcepibile.

Lo capisco... inconcepibile perchè  io chiedo, chiedo amore, amore verso me stessa, perdono e attenzione, ascolto al i là di regole o setting,  capisco ma soffro. Questa è la mia vita, la devo accettare

Finirà questo fraintendermi?

 

 

 
 
 

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