le vide

la passione di orlando


 
1a parteEro al capezzale di mio padre con le ombre gettate da quei fiori di barba incoltache intrappolavano le pallide intromissionidi una luce grigiagli tenevo la mano, ed ero solocon il peso della solitudine sulle spallee il cuore orrendamente sgravatoeppure il peso di quella mano vuotaera sufficiente a tenerlo inchiodato alla terraalla cui altezza si era librato, incapace di fuggiregli tenevo la vita tra le ditanascondendo il volto nel cavo d’ombra disteso fra me e luitenebra gelida e stantia, impassibiledi fronte all’esibizione degli ultimi restidella gloria di un cavalieremi aspettavo che dicesse qualcosa in meritocome gli era piaciuto fino all’ultimodi quei brevi istanti indispensabilima il tempo della celebrazione aveva appena intonato un’esequie,laddove le ultime parole di questo tremebondo campionedovevano semplicemente accompagnarlonell’ora indicibile della riconciliazioneMi raccontò, senza saperlo,l’inizio del mio viaggioproferendo una voce che avevala pura, seppure greve, levitàdi coloro che hanno abbracciato la lucementre si liberavano di tutti i rimpiantiognuno col nome proprio, più numerosi dei nemici che si sono mandati anzitempoa compiere il passo prima che l’invitogiungesse a noi, per arrivare al nome del rimpianto più grande, quello che in realtàmanca di una voce che lo esprima, perché non si può dire,lo si può solo scontare, e non c’è protezione che regga all’urto di un cattivo esempio.E allora mio padre cominciòscusandosi con me come se fossi lei, e non potessi replicare,né lacrimare e spargermi di pentimento sul suo petto, similea pioggia di tortura.Mi confidò che la colpa più grande di un cavaliereè perdere uno solo dei baci che spiccano sul profumo di quelle pazienti labbra schiuse, e lo disse tantoe con tale riserbo, che finii col farne monito in uno spazio del mio cuore, dove si accumulano i pensieriscaturiti dalle notti di sogno leggero.Sentivo comunque di aver bisogno che mi suggerisseuna ragione più personale per lasciarlo, un esempioche mi riguardasse profondamente, e fu allora che,mentre la sua mano nella mia pareva ritirarsi,facendosi sempre più esile e scarna,il mio inestimabile, glorioso campione e maestromi affidò i suoi ultimi resti nel rivelare come la fineche stava per incontrare gli incutesse più alcun timore,poiché con l’esempio che gli avevo dato in vita, combattendo al suo fianco, era riuscito a volgere la paura nell’accorata pietàstillante dalla sua tempra di penitente.Mio padre benedì il mio cammino in tempoperché non smarrissi l’esile filo della sua voce già lontana,ed io seppi dove andare prima di intraprendere la traversata.Era un luogo che non osavo sperare di rivedere, il gioco baro del destino esigeva che vi tornassi per contravvenire alla promessache feci al principe il giorno prima che lei se ne andasse.Allora si erano promessi reciprocamente la vitaal riparo dell’ombra di quell’incanto custodito da alberila cui maestà non si leva dritta al cielo, bensì preferisce ripiegare dolcemente, senza opporsi, verso la gravità di uno specchiodi acque sempre cangianti, come le pagine di un libro di magia. Il re disse che il luogo in cui si era scambiata una simile promessanon avrebbe mai dovuto conoscere la tempra macchiata di sangue di una spada.Il fatto che i suoi occhi prima di spegnersimi ricordassero come l’uomo che aveva sconfitto la morte in sua vecemi diede la forza di fare il primo passo in quella direzione.Trovai sopra ogni cosa il coraggio di guardarlo in quegli occhi che avevano accompagnato con tale fierezza le paroleda indurmi a muovere le dita, sfiorare la sua fronte distesa e calare le palpebre su quelle orbite vuote.Non avevo mai sfiorato il volto di mio padre, il principe,prima di allora, eccetto che con la spada.bizzarro