Oggi vi voglio presentare la scatola di un composto farmaceutico che sicuramente conoscerete: il chinino cloridrato. Fino agli anni Cinquanta del secolo scorso, tutti lo chiedevano, tutti lo volevano, era quasi come Figaro! Un vero factotum dell’armadietto dei medicinali, che sta lentamente scomparendo: ad oggi sopravvive solo nel trattamento delle febbri malariche e per dare il caratteristico aroma alla Schweppes.Ogni volta che mi capita di sfogliare il Formulario Terapeutico Ragionato del Professor Berruti del 1874, mi sorprendo davanti all’uso illimitato che si faceva del chinino nell’Ottocento. Il pupo ha le coliche? Chinino. La moglie ha la febbre? Chinino. Tu hai la dissenteria? Chinino. Malaria? Più chinino!Ma chi è stato a far conoscere il chinino agli Europei? Non Ana de Osorio Chinchòn come vorrebbe il mito, ma Bernabé Cobo. Costui faceva parte dei Gesuiti, un ordine monastico molto attivo nel processo di evangelizzazione dell’America del Sud durante il Seicento.Bernabé Cobo, non era né un medico, né un farmacista, e la sua cultura generale lasciava un po’ a desiderare, ma nonostante tutto rimase affascinato dai mille usi terapeutici che aveva la pianta della china, così decise di portare alcune bacche in Spagna.Prima dell’Ottocento, il chinino era utilizzato grezzo, sotto forma di quella che veniva chiamata pulvis gesuiticus, ovvero la polvere del Gesuita. I primi a isolarlo furono due francesi: Joseph Caventou e Pierre Pelletier, che decisero di battezzare la loro scoperta “Quina”, utilizzando la parola inca originale.Il chinino è stato utilizzato in maniera diffusa per tutto l’Ottocento, solo nei primi anni del Novecento, vennero condotti degli studi più precisi che permisero di scoprire che anche questa “panacea” aveva qualche limite. Infatti, il chinino può dare luogo a reazioni allergiche, ad intossicazioni e dà problemi nei pazienti che soffrono di disturbi cardiaci.Ecco la foto della scatola:
Cloridrato di chinino Pointet & Girard
Oggi vi voglio presentare la scatola di un composto farmaceutico che sicuramente conoscerete: il chinino cloridrato. Fino agli anni Cinquanta del secolo scorso, tutti lo chiedevano, tutti lo volevano, era quasi come Figaro! Un vero factotum dell’armadietto dei medicinali, che sta lentamente scomparendo: ad oggi sopravvive solo nel trattamento delle febbri malariche e per dare il caratteristico aroma alla Schweppes.Ogni volta che mi capita di sfogliare il Formulario Terapeutico Ragionato del Professor Berruti del 1874, mi sorprendo davanti all’uso illimitato che si faceva del chinino nell’Ottocento. Il pupo ha le coliche? Chinino. La moglie ha la febbre? Chinino. Tu hai la dissenteria? Chinino. Malaria? Più chinino!Ma chi è stato a far conoscere il chinino agli Europei? Non Ana de Osorio Chinchòn come vorrebbe il mito, ma Bernabé Cobo. Costui faceva parte dei Gesuiti, un ordine monastico molto attivo nel processo di evangelizzazione dell’America del Sud durante il Seicento.Bernabé Cobo, non era né un medico, né un farmacista, e la sua cultura generale lasciava un po’ a desiderare, ma nonostante tutto rimase affascinato dai mille usi terapeutici che aveva la pianta della china, così decise di portare alcune bacche in Spagna.Prima dell’Ottocento, il chinino era utilizzato grezzo, sotto forma di quella che veniva chiamata pulvis gesuiticus, ovvero la polvere del Gesuita. I primi a isolarlo furono due francesi: Joseph Caventou e Pierre Pelletier, che decisero di battezzare la loro scoperta “Quina”, utilizzando la parola inca originale.Il chinino è stato utilizzato in maniera diffusa per tutto l’Ottocento, solo nei primi anni del Novecento, vennero condotti degli studi più precisi che permisero di scoprire che anche questa “panacea” aveva qualche limite. Infatti, il chinino può dare luogo a reazioni allergiche, ad intossicazioni e dà problemi nei pazienti che soffrono di disturbi cardiaci.Ecco la foto della scatola: