LE PAROLE

25 aprile e sono l'una e dodici


 Non ho scritto. Non scrivo. Forse non scriverò. Ma non posso non scrivere per il 25 aprile. L'ho sempre fatto da quando ho aperto nel marzo del 2005 questo blog. E quindi scrivo. Mi tremano le mani ed ho paura di non sapere più usare le parole, di non essere più capace di farmi usare dalle parole. Non voglio essere quella che schiaccia sui tasti e mette in riga caratteri in tahoma 11, ma voglio che i caratteri in tahoma 11 siamo una cosa unica con le parole e le parole siano solo e semplicemente me stessa. Ed allora faccio come quando vado sul balconcino a fumare la sigaretta e stacco da ufficio, numeri, disastri, malumori e lascio che il fumo pigro si inanelli a pensieri che rotolano nella fantasia, colorando i sogni. E così faccio ora. Sono nata sei anni dopo quel 25 aprile e non ho memoria di nulla che possa collegarmi a personaggi e fatti e nemmeno luoghi di cui dire Ecco qui, nella cantina della canonica il nonno si è nascosto quando i repubblichini hanno rivoltato il paese per cercarlo, perché il nonno Alfonso era un comunista di quelli duri e puri, ma il prevosto gli stava simpatico. E poi anche lui è andato su in montagna dove c'era suo figlio e quando è ritornato, da solo, era come fosse invecchiato di trentanni. Aveva tutti i capelli bianchi, le mani che tremavano e negli occhi il buio. Vedi, questo era l'orto dove la nonna raccoglieva le verdure e poi faceva la zuppa che la zia Amelia portava al prevosto per le famiglie più povere. La nonna Elisa era un portento. Riusciva a far mangiare tutta la nostra famiglia, che eravamo una quindicina, con quello che dava l'orto e le poche bestie che aveva. Eravamo una famiglia numerosa e al femminile. L'unico figlio era andato con i partigiani ed il nonno l'aveva seguito. Di maschi restava lo zio Eusebio, ma era un po' stonato e il bisnonno Fausto. E poi riusciva sempre a far mangiare qualche partigiano di passaggio stanco ed affamato, che poi si fermava a dormire nella camera di Giulio, il figlio, che era su in montagna, che non sarebbe tornato. Lì, nell'angolo della stalla ci stava la bicicletta della zia Elia. La zia Elia era proprio bella e lo sapeva bene. Si metteva il vestito con i fiorellini rossi e gialli che era scollato davanti e con tutto quel bendidio in vista la fermavano sempre e le facevano un mucchio di complimenti e la invitavano a ballare, ma non pensavano che nel cestino c'era la sua borsetta con i dispacci per i ragazzi che erano più su, sulla montagna. Vieni su in solaio che ti faccio vedere una cosa. In quell'angolo, sotto a quel telo di plastica scuro c'è la stoffa bianca di un paracadute. Era di un soldato inglese che il vento strano di questa vallata aveva portato fuori bersaglio e si era perso nel bosco. La nonna aveva trovato questo ragazzo biondo e pallido una mattina che era andata a funghi. Era sfinito, tutto graffiato e affamato. L'ha portato a casa, l'ha curato e accudito come fosse suo figlio, dicendo che magari qualche altra mamma avrebbe fatto lo stesso per suo figlio. E poi suo figlio non è più tornato. Ecco questo mi sarebbe piaciuto sentir raccontare, ma non ci sono state tavolate in cui tra il salame ed il vino ci fossero anche i ricordi della Resistenza. Nessuno mi ha raccontato storie ed allora le ho cercate nei libri che ho letto, nei film che ho visto, nella musica che ho ascoltato e nella fantasia.