La Certosa di San Martino. Non ho la competenza, né la cultura necessaria per parlare della storia e dell’arte. Loro l’hanno fatto molto meglio di quello che potrei fare io con le parole e con le immagini. Quello che posso raccontare sono le emozioni. E questo luogo me ne ha regalate molte e molto intense. Ho una particolare passione per i monasteri, le abbazie, i conventi. Per quei microcosmi dove il tempo era scandito dalla preghiera e dal lavoro. E preghiera e lavoro si fondevano con l’arte e la cultura. Da quando ho letto “Il nome della rosa” anche con l’intrigo e il mistero. Ho sempre pensato che il vero centro di questi mondi non fosse la chiesa. Anzi la chiesa l’ho sempre sentita troppo pubblica, troppo materiale, un po’ come la vetrina del negozio. Il vero centro per me è il chiostro. Nel chiostro convergono tutti gli spazi e dal chiostro si irradiano le linee di energia. Quello della Certosa di San Martino ha scardinato la mia idea di chiostro. Tutti quelli che avevo visto erano chiusi e delimitati, come una preghiera sommessa. Erano spazi raccolti intorno a giardini ben curati con una fontanella al centro o un pozzo. Dove la luce entrava timida disegnando ombre profonde in cui potevo immaginare figure intente ad attente letture dei testi sacri. Dove la meditazione era estasi e sofferenza e la solitudine era la compagnia abituale.Qui è esattamente l’opposto. Il chiostro è un grande quadrato di luce. Il porticato non chiude né racchiude, ma dilata e approfondisce. La prima impressione è stata di un ampio respiro, liberatorio e catartico. Dopo la bellezza soffocante e splendente del barocco della chiesa il rigore spoglio di questo quadrato grande e aperto è come liberarsi da un peso sulle spalle. Pochi alberi. L’erba verde delle aiuole. Il piccolo spazio del cimitero dei monaci, un quadrato all’interno del quadrato circoscritto dal bianco marmo e dai teschi coronati di alloro che non fanno paura né ribrezzo.
Post N° 262
La Certosa di San Martino. Non ho la competenza, né la cultura necessaria per parlare della storia e dell’arte. Loro l’hanno fatto molto meglio di quello che potrei fare io con le parole e con le immagini. Quello che posso raccontare sono le emozioni. E questo luogo me ne ha regalate molte e molto intense. Ho una particolare passione per i monasteri, le abbazie, i conventi. Per quei microcosmi dove il tempo era scandito dalla preghiera e dal lavoro. E preghiera e lavoro si fondevano con l’arte e la cultura. Da quando ho letto “Il nome della rosa” anche con l’intrigo e il mistero. Ho sempre pensato che il vero centro di questi mondi non fosse la chiesa. Anzi la chiesa l’ho sempre sentita troppo pubblica, troppo materiale, un po’ come la vetrina del negozio. Il vero centro per me è il chiostro. Nel chiostro convergono tutti gli spazi e dal chiostro si irradiano le linee di energia. Quello della Certosa di San Martino ha scardinato la mia idea di chiostro. Tutti quelli che avevo visto erano chiusi e delimitati, come una preghiera sommessa. Erano spazi raccolti intorno a giardini ben curati con una fontanella al centro o un pozzo. Dove la luce entrava timida disegnando ombre profonde in cui potevo immaginare figure intente ad attente letture dei testi sacri. Dove la meditazione era estasi e sofferenza e la solitudine era la compagnia abituale.Qui è esattamente l’opposto. Il chiostro è un grande quadrato di luce. Il porticato non chiude né racchiude, ma dilata e approfondisce. La prima impressione è stata di un ampio respiro, liberatorio e catartico. Dopo la bellezza soffocante e splendente del barocco della chiesa il rigore spoglio di questo quadrato grande e aperto è come liberarsi da un peso sulle spalle. Pochi alberi. L’erba verde delle aiuole. Il piccolo spazio del cimitero dei monaci, un quadrato all’interno del quadrato circoscritto dal bianco marmo e dai teschi coronati di alloro che non fanno paura né ribrezzo.