LE PAROLE

Filippa Filippazzi


Invece ridendo dissi, in un certo senso. Cominciammo a chiacchierare della sua insonnia, dovrebbe bere del latte caldo con il miele prima di andare a dormire, e del mio quasi esaurimento nervoso, ma non si direbbe proprio chè il suo sguardo è così radioso, poi entrò dal dottore, e pensai che non era male, chiedendomi se la mia fame di compagnia non mi faceva vedere quello che non era. Quando se ne andò mi salutò con un cenno della mano e un, a presto, che mi lasciò abbastanza indifferente. Il mio livello di autostima strisciava come un verme sotto la suola delle mie scarpe e quel tipo lì mi dava l’impressione di uno che, quelle come me, gli vanno bene solo per quattro chiacchiere, ingannando la noia, mentre aspetta il proprio turno dal dottore. Non ci pensai più.In quel periodo di pseudo-malattia passavo più tempo nel negozio dei miei, con grande loro gioia e per me era una maniera di avere più soldi per il mio colorato shopping e anche per esorcizzare giornate troppo lunghe. Una sera, mentre stavo chiudendo il negozio con mio fratello Astolfo arrivò il tipo che avevo incontrato dal dottore. Di corsa e un po’ affannato con una rosa bianca in mano e, viene a cena con me stasera? Credo di aver fatto la faccia di quella che vede un alieno, talmente stupita che Astolfo rispose per me, vai pure che chiudo io. Lo guardavo senza parlare e lui ridendo si presentò, Mario Rossi. Scoppiai anch’io in una risata che non riuscivo a frenare. Non potevo crederci, finalmente qualcuno con un nome banalmente normale. Gli porsi la mano e sillabai, Fi-lip-pa Fi-lip-paz-zi. Lui mi prese la mano e la baciò. Un baciamano ed ero già innamorata. Quella sera mi portò in un piccolo ristorante, vicino a casa sua. Come in un film. Il locale era animato, pieno di gente, rumore, risate, fumo e c’era musica dal vivo. Mi sentivo effervescente, bella e felice, soprattutto felice. Gli anni bui di solitudine furono inghiottiti in un attimo dalla sensazione di vita che mi attraversava la pelle. Parlavo e ridevo, mi accorgevo per la prima volta di come la mia conversazione fosse interessante e affascinante. Se fossi stata un uomo mi sarei innamorata di me stessa. Lui era intelligente e spiritoso, mi faceva ridere, mi faceva pensare, mi faceva stare bene. Colto e simpaticissimo. Elegante e raffinato. Era anche un bell’uomo, quarantacinque anni, capelli scuri e occhi scuri, alto almeno dieci centimetri più di me. Il mio ideale fatto persona. Non sposato, cosa non trascurabile. Da quella sera cominciammo a frequentarci. Seppi così che il suo lavoro lo portava quasi sempre in giro per l’Italia, aveva un’impresa di servizi e organizzava convegni e ricevimenti con un socio ed alcuni collaboratori. Durante la settimana mi telefonava alla sera per raccontarmi del suo vagabondare e al sabato ci vedevamo e a volte anche alla domenica. Diceva che con me stava bene, non si sentiva assediato e non voleva assediare, le cose sarebbe venute spontanee. Mi dava un casto bacio per salutarmi e mi prendeva a braccetto per camminare insieme. Ero felice. I miei concordarono nel dire che una persona distinta e questo mi faceva un po’ ricredere, chè l’opinione della mia ottusa famiglia non era mai stata la mia.