LE PAROLE

Post N° 345


Se sapessi guidare ed avessi una macchina adesso me ne andrei. Prenderei la borsa, le sigarette e l’accendino, ma lascerei a casa il cellulare. Accenderei il motore, mi metterei comoda e partirei. Non andrei veloce e non seguirei un percorso definito. Lascerei sia la strada a portarmi dove vuole. Avrei una musica sotto i per aiutare i pensieri a sciogliersi, una musica da viaggio, quelle anche senza capire le parole, ma che diano un ritmo allo scorrere del tempo. Il finestrino sarebbe aperto per annusare l’aria e per far uscire il fumo della sigaretta.Vagherebbe libera la mente tra ricordi di altri viaggi, di notte. Viaggi allegri di canzoni cantate a squarciagola sopra il rumore del motore, quando l’amore era nell’aria che respiravamo e nemmeno potevamo immaginare che non sarebbe stato altro che così. Viaggi senza meta, solo per cantare Battisti, solo per restare noi con noi, nel caldo dell’abitacolo e fuori il buio interrotto dalla saetta dei fari di altre macchine e altre persone non felici come noi. Viaggi sempre al confine dell’impossibile che diventava l’unica maniera possibile per essere insieme. Giocavamo a essere adulti sapendo di essere solo due bambini spaventati dalle notti troppo lunghe. Viaggi con le righe della pioggia sui finestrini, sentieri d’acqua che si incrociavano per perdersi, con il ritmo monotono del tergicristallo, senza musica e bastavano le nostre parole a riempire tutti gli spazi tra noi e quelli tra le gocce. Il suono delle risate copriva tutto il resto e non importava pioggia, freddo, vento. La lontananza era sconfitta dalla mia mano che era nella tua.Viaggi silenziosi, con la radio e canzoni che nulla raccontavano. Noia e solitudine nello spazio tra me che guardavo distratta la strada e te che guidavi attento, sempre oltre il limite. Non c’era allegria ma il gelido vuoto dell’amore che non sapevo più dove fosse finito e poi improvvisa una canzone, una di quelle che avevano unito le nostre voci nei cori stonati. Ti dicevo ascolta, ricorda, ricorda che mondo di meraviglie eravamo quando eravamo amanti amati amore mio, quando le unghie dell’abitudine non avevano lacerato la seta preziosa dei nostri sentimenti. Viaggi di parole cattive e discorsi come vuoti ritornelli, la tua indifferenza, la mia rabbia, che cozzavano tra lo specchietto ed il volante. Il pianto ingoiato con la saliva nella gola contratta dalla rabbia, le mani ad accendere una sigaretta senza chiederti, vuoi? Senza chiederti più, vuoi? Non c’è più stato nessun vuoi? C’è stata la distanza che abbiamo messo tra te che guidavi attento ed io che guardavo distratta. Guiderei piano assorbendo questi ricordi con l’odore del fosso che corre a fianco della strada, cercando di capire perché ho avuto bisogno di immergere le mani in questo passato che è finito nel momento stesso in cui lo vivevo. Guiderei piano cercando la strada dove svoltare per ritrovare quella piccola osteria dove alle due di notte tu bevevi un caffè perché dovevo assolutamente andare in bagno. Inventerò altri viaggi, come ho già fatto e per piccoli pezzi costruirò un puzzle nuovo senza avere nessun modello da seguire.Ci saranno altri viaggi, con te, con altri, con me e altre notti in cui la strada diventa l’orizzonte fasullo della mia nostalgia.