LE PAROLE

Post N° 357


Mi muovo per gli spazi.   (2 di 3)La tua pelle olivastra e i capelli biondi, gli occhi celesti, nel contrasto era la tua bellezza. Di me dicesti che ti colpì la fretta e la vivacità e ridevo quando dicevi questo, che mi consideravo una che il tempo lo sa usare. All’inizio ci mantenemmo sul rapporto di amicizia, cinema, passeggiate, qualche mostra di pittura, un concerto, una pizza. Ma l’attrazione fisica tra noi era percepibile, perché evitavamo di toccarci. Facemmo molta fatica ad accettare questa verità e la prima volta che ci baciammo fu una tempesta di emozioni, mai provate prima. Fu sotto casa mia, che allora abitavo ancora con i miei genitori, e mi avevi accompagnato. Il saluto era stato un bacio sulla guancia, ma i nostri occhi non si staccavano e le nostre labbra si erano trovate come se non potessero fare altro.Da quella notte per noi fu semplice, ci stavamo innamorando, per il mondo intorno a noi fu un disastro. Dicevi che non sapevo far le cose se non in fretta, come se poi non esistesse più tempo, ma in contraddizione con la mia perenne ansia ci misi due anni per chiudere il mio fidanzamento. Tu invece nel giro di una settimana avevi buttato all’aria tutto. Già vivevi per conto tuo e la tua determinatezza aveva fatto il resto. Quello che per te era semplice per me era complicato. Nel tuo fiero egoismo riuscivi ad essere quello che non riuscivo ad essere, quella che tu chiamavi semplicità e ansia da impazienza era la mia totale incapacità alla certezza. Il nostro rapporto si costruì in quegli anni di poco stare insieme e molto desiderio.Poi venne la difficoltà di far capire alle rispettive famiglie il nostro bisogno di andare a vivere insieme. La tua non l’accettò mai, nemmeno ora mi accetta. Fu in quel periodo di fine settimana rubati e di incontri come amanti che comprammo la casa sul lago. Ci era piaciuta la posizione isolata, la strada sterrata in salita, stretta e a curve, il grande terrazzo che dominava la distesa d’acqua, il sole che tramontando colorava di rosso, la grande stanza che riuniva in un unico ambiente anche la cucina, la scala di legno scuro stretta e ripida che portava al piano di sopra, tre grandi camere ed un bagno, il nostro studio, la stanza degli ospiti e la nostra, un letto e una grande finestra sul lago. Ci era piaciuta perchè era tutta da inventare, da rifare dentro e ci sembrava come il nostro amore. Il nostro amore che ci cambiava dentro, che non lasciava nulla di quello che eravamo prima, che ci rendeva nuovi ad una vita nuova. Soprattutto ci era piaciuta l’idea di dire, la nostra casa. L’abbiamo arredata scegliendo ogni mobile ed ogni oggetto insieme, e non abbiamo mai smesso di comprare una lampada o un piatto per il solo gusto di vederlo lì. Quanti pomeriggi camminati nei mercatini antiquari, e quanti fine settimana passati a ridipingere vecchi mobili. Tu eri coraggiosa e non avesti alcuna paura a tagliare i ponti con la tua famiglia e con tutti i tuoi amici che non accettavano che ti fossi innamorata di me. Non ebbi il tuo coraggio e prima di venire a vivere con te, lottai con me stessa e con gli altri. L’accettazione dell’amore che provavo per te fu un percorso doloroso e difficile. E farlo accettare anche alla mia famiglia fu una questione di principio. Tu mi guardavi col sorriso e avevi pazienza. Alla fine costruimmo una fortezza, che quello era il nostro amore. E poi gli anni scivolarono veloci, con le difficoltà normali di tutte le coppie, con l’eccezionalità della forza che avevamo dovuto impiegare per accettarci e farci accettare.Ludovico Einaudi "Le Onde"