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Post N° 264

Post n°264 pubblicato il 01 Ottobre 2006 da liberante

Aprì la porta                        (uno di tre)

Aprì la porta e rimase ferma.
Vedeva solo il primo gradino della scala a chiocciola che scendeva in quello spazio nero.
Rimase ferma e nel naso sentì forte l’odore del buio. Una mescolanza di freddo e umido, di quell’indefinibile sentore di aria chiusa, legno marcio, carta ammuffita e polvere. Nascosto annusò anche il salato salmastro del mare.
Rimase ferma con la mano aggrappata alla maniglia della porta, come per avere un senso di realtà a difesa del nulla che nascondeva il gradino successivo. Nulla vedeva se non quel primo gradino. L’osservò con attenzione.
Era di pietra grigia, irregolare e consunto, striato di venature nere che formavano una ragnatela di dubbi. Uno spicchio di pietra grezza largo circa mezzo metro da un lato fino a diventare di pochi centimetri. Lo spazio tra le pareti era della lunghezza di un suo braccio che distese fino a toccarne una, quella dal lato largo del gradino. Il muro era della stessa pietra della scala, grossi blocchi disuguali, lisciati dal tempo e dalle mani, ondulati dall’imperfezione, freddi e bagnati, forse non bagnati, ma solo umidi che in alcuni punti erano molli di macchie di muschio.
Sapeva che erano solo quindici gradini.
Respirò l’aria stantia che arrivava dal fondo e allungò un piede alla ricerca del gradino successivo.
Disse a voce troppo alta e stridula
“due”
Non aveva paura, conosceva bene il luogo, ma troppo tempo era passato dall’ultima volta che con una corsa affannata aveva sceso la scala urlando un NO che le usciva dalle budella.
Si era nascosta dietro la botte del vino nuovo, piangendo tutte le lacrime dei suoi tredici anni, ma Nonna l’aveva trovata.
In quella sera di pieno inverno erano arrivati una signora e un signore e Nonna le aveva detto che era la mamma e lei doveva andare a vivere in una città grande e bella con i suoi fratelli e un nuovo papà.
Aveva urlato NO e poi No e ancora NO.
Da quel giorno non era più stata bambina, non era più stata felice, non era più tornata, non aveva più avuto notizie, non aveva chiesto nulla, come se avesse voluto cancellare i suoi primi tredici anni di vita.
Tornava ora che Nonna era morta il mese prima e Nonno era morto subito dopo che lei era partita.
Tornava ora che il notaio le aveva letto il testamento di Nonna e la casa, il prato, la vigna e tutto il resto erano diventati sua proprietà e le sue cose erano nella vecchia valigia di pelle scura che stava in cantina.
In quella sera di pieno inverno nell’abbraccio di Nonna aveva pianto tutte le lacrime che negli anni successivi non aveva più pianto. Da quel giorno non era più tornata alla casa con il prato e la siepe di lavanda, dove Nonna piantava i tulipani e lei correva con la cagnetta bionda fino alla staccionata e alla strada e oltre la strada bianca di polvere c’era la roccia e il mare. Dietro alla casa Nonno curava la vigna e l’ulivo.

(Skye - Love Show)

 
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DA LEGGERE

 

Antonio Gramsci "La Città Futura" (1917)   

 

" Odio gli indifferenti: credo come Federico Hebbel che “vivere vuol dire essere partigiani”. Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e partigiano. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. E’ la palla di piombo per il rinnovatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che circonda la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scoraggia e qualche volta li fa desistere dall’impresa “eroica”. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. ".......

..... continua qui  

 

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