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Post N° 359

Post n°359 pubblicato il 13 Giugno 2007 da liberante

Sul viso il vento, entra dalla finestra, e se chiudo gli occhi arriva un’immagine che era sepolta chissà dove.
Gli ultimi giorni di una vacanza, una qualunque delle tante che ho fatto, l’inizio di settembre, il mare a tre passi da me, il sole caldo, il silenzio sommesso di parole lontane e giochi di bambini nella pineta, il suono lento della risacca di un mare facile e mansueto.
Seduta al tavolino sotto la veranda colorata del bungalow.
Nell’ora confusa in cui le famiglie stanno raccolte a bere il caffè e a fare le ultime chiacchiere e risate, il sole senza ombra delle due del pomeriggio, spietato e sincero. 
E il vento.
Lo sentivo arrivare prima, nella sonorità dei cespugli arrampicati sulla duna, nel mormorio dei lecci sopra la mia testa e nel profumo secco degli oleandri.
La sua carezza gentile spostava i miei capelli.
Restavo immobile, le gambe allungate sotto al tavolo, la schiena inclinata, la testa a guardare in alto, le mani appoggiate all’altezza del cuore.
Restavo immobile cercando una strada nella mente che mi portasse a trovare dove si era ficcato quel fastidio, dove si originava il pensiero molesto, ma non era tempo allora.
Allora era aperto l’orizzonte e non chiudevo porte, non mettevo muri di paura tra me e il mondo.
Allora sentivo solo un disagio, un foruncolo sul mento, un prurito, un morso d’ape.
Però ero sola a covare nella siesta pomeridiana l’instabile malinconia del non sapere.

Ero sola.
Senza cercare altro che il silenzio di una solitudine che poi mi scrollavo di dosso come l’acqua il cane bagnato.
Ascoltavo.
Una radio nel vialetto dietro al mio.
Una canzone che mi arrivava per brandelli e di cui riconoscevo l’emozione e i pezzi di vita che ci avevo appiccicato.
E c’eri tu, nella sdraio all’ombra, sonnecchiavi.
La mia sensazione era di essere sola, ma tu c’eri.
Se fossi stata più attenta allora, me ne sarei accorta.
Mi sarei accorta della contraddizione, sola, con te, con te, sola.
Sentivo il vento e il mare, speriamo dorma ancora per un po’, mi bevevo il vento con ogni poro della pelle, quando si sveglia andremo a fare un giro, chiudevo gli occhi e buttavo la testa all’indietro, se lui non ci fosse potrei stare qui per sempre.
Fantasie sotto pelle, un attimo prima della percezione, inconsapevole, forse bugiarda per il quieto vivere della banalità.
Il vento di oggi mi ha raccontato questo, con affetto e dolcezza, con il sorriso stentato del rimpianto e con una piccola nostalgia nascosta dietro una risata.

 
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DA LEGGERE

 

Antonio Gramsci "La Città Futura" (1917)   

 

" Odio gli indifferenti: credo come Federico Hebbel che “vivere vuol dire essere partigiani”. Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e partigiano. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. E’ la palla di piombo per il rinnovatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che circonda la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scoraggia e qualche volta li fa desistere dall’impresa “eroica”. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. ".......

..... continua qui  

 

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