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« Messaggio #426 | Filippa Filippazzi » |
Periodaccio.
Non è che stia male, nemmeno sto bene.
No. Non è il lavoro, anche se mi sembra di lavorare e basta. E poi lavorare sotto pressione in questa maniera mi fa sentire adrenalinica e soddisfatta. Mi piace. Adoro passare le giornate ad inseguire i percorsi assurdi dei numeri che nella loro perfetta logica devono combinarsi in maniera tale da quadrare. E sono tabelle su tabelle, incroci di anni e di futuri, di proiezioni e previsioni, di leva di qui e metti di là, sposta questo e incrocia quell’altro. E sono cocciuta che non mi accontento mai e devo spaccare il capello ed il centesimo. Comunque quando esco dall’ufficio e me ne torno a casa pedalando lenta sulla mia bicicletta mi sento il cervello fritto e l’unico pensiero coerente che riesco ad articolare è quello di sentire l’aria fredda che mi lava la faccia.
Periodaccio.
La fregatura è il tempo furibondo che non mi dà respiro. Ci sono dei giorni in cui l’unico tempo che ritaglio per me è quello della doccia e di spalmarmi la crema. E mi manca. Mi manca in maniera tremenda lo spazio largo del poter decidere di mettere in parole il turbinio di immagini che si accapigliano nella mia povera testa. E dopo dieci ore di schermo e tastiera la sola idea di accendere il mio portatile bordeaux mi provoca un conato di vomito. Non scrivere significa allontanarmi da me stessa. Dimenticarmi. Non farmi compagnia. E quindi per assurdo soffro di solitudine. Mi sento sola perché non riesco ad essere sola.
Periodaccio.
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Perfino questo amore che mi coccolo dentro come un bambino abbandonato non lo sento con la stessa intensità. E poi arriva la vocetta idiota che mi dice “Ma non lo senti o non lo vuoi sentire?” Ovvio. Non lo voglio sentire perché mi manca solo la paranoia del Oh cielo! Come soffro! Come sono infelice! E poi mi attacco ad una tenda (ma quale tenda? che in casa non ci sono tende) e come un’attrice di un film d’altri tempi mi abbandono al pianto.
Periodaccio.
Mi chiedo quando potrò fermarmi e non avere altro da fare che quello che voglio. Andare a vivere al mare. Avere la casa grande, di pietra, tra gli ulivi. Il vento che entra dalle finestre e le voci della mia famiglia molto allargata che riempiono i soffitti. Tra quattro anni? ma quanto sono lunghi quattro anni? e tu vocetta idiota e del cazzo non venirmi a dire che tanto passano in fretta.
Periodaccio.
Incazzata per tutto questo infame rimescolio di cose già sentite, già viste, già vissute. E tanto avevamo giusto bisogno di spendere un po’ di milioni di euri per andare a votare. E lo so che andrò a votare perché sono ancora così stupida e così illusa da pensare che il mio voto sia importante e voterò tappandomi il naso per scegliere la minor merda, come dicevo alla mia amica Ale.
Periodaccio.
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Davvero credo di essere al mio minimo storico di razionalità.
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DA LEGGERE
Antonio Gramsci "La Città Futura" (1917)
" Odio gli indifferenti: credo come Federico Hebbel che “vivere vuol dire essere partigiani”. Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e partigiano. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. E’ la palla di piombo per il rinnovatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che circonda la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scoraggia e qualche volta li fa desistere dall’impresa “eroica”. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. ".......
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