Non so che altra parola usare. Ansia e angoscia sono più definitive. Inquietudine è sottile, strisciante, una bava di vento. Si infila sotto la pelle senza nessuna avvisaglia, dal basso, dai piedi, sale lungo le gambe, come un fastidio leggero, un prurito che non vale nemmeno la pena grattare. Me ne accorgo quando ormai sta dilagando nello stomaco e mi affanna il respiro. Inquietudine. Guardando il cielo opaco di nuvole più scure della notte e di poche stelle, mi sento così fuori posto da avere la tentazione di voltarmi indietro per vedere se c’è ancora la mia ombra. Non sono più io quella che guarda nella notte facendo domande impossibili. Non sono io. È quell’altra che occupa il mio spazio e tiene al guinzaglio la mia ombra, altrimenti fuggirebbe per tornare da me. Lei, l’altra me, chiede con voce muta il significato di questo spazio, di questo tempo. Perché i gomiti si appoggiano sul davanzale di marmo e ne percepiscono il freddo e perché qui e ora e non nel 1791? Lei, l’altra me, è corpo, ossa, muscoli, ricordi, pensieri, emozioni, occhi blu, nel 2006, ma potrebbe essere altro? Essere animale? Corvo o civetta, volo notturno, radente a cercare una preda e mangiarla ancora viva e pulsante di rosso sangue caldo. Oppure albero? Quercia di mille anni ferma nella stessa terra e i rami verso lo stesso cielo, radici nodose annodate ai grumi della terra, humus e casa, che tutto accoglie e trasforma. Perché essere umano? Perché donna? Perché io? Lo stomaco si contorce e il cuore perde un battito. Lei, l’altra me, si sovrappone a me, con inquietudine. Lo spazio cambia dimensione. Si allarga. Diventa tutto. I luoghi dove sto, le mie cose conosciute diventano un punto su una mappa sconosciuta. L’immenso mi aggredisce con mani cattive, mi scuote le spalle, appallottola in un insignificante cartoccio le mie vuote inutili stupide rabbie, il mio dolore, la mia felicità. MIO? di mio nulla ho. Questo inquietante spazio infinito è la mia inquietudine. Lo sguardo spaventato e confuso si perde in quel nulla pieno di tutto ciò che non so immaginare oltre l’infinito. Inquietudine è non sapere se il minimo mondo che vivo è l’unico mondo possibile. Inquietudine è la follia quando mi vedo così microscopico agglomerato di cellule che possono non esistere più all’improvviso se venisse a mancare la loro coesione. Inquietudine. Non è più un piccolo, appena percepibile graffietto, ma penetrante lacerazione tra me e me stessa. Cerco con occhi sconcertati una conferma al mio esistere qui e ora. C’è solo l’ombra attaccata ai miei piedi. Inquietudine. |
Inviato da: magdalene57
il 25/07/2023 alle 20:20
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