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Asfalto di notte. (2 di 2)
Si girò e stava andando via, ma lei lo fermò
- Signore, cosa posso fare per lei?
- Lei ha pianto per me, ha già fatto tutto.
L’uomo uscì dal bar con lenti passi e le mani chiuse a pugno.
Il gusto del caffè mi si impasta in bocca con la nausea.
Gli errori si pagano. Tutti i nodi vengono al pettine. Le scelte sono dure. Nulla arriva per caso. Potevo pensare prima. Dovevo essere più forte. Devo smettere di farmi rotolare in testa queste banali frasi che nulla dicono e niente aiutano. Il gusto del caffè mi si impasta in bocca con la nausea. Nausea! La sensazione più netta che ho di me stesso. Nausea di questo vestito troppo grigio, troppo stirato, troppo pulito. Lo specchio esatto della mia vita inamidata da questo schema fisso in cui i limiti sono le mie certezze. Il lavoro sempre e prima di tutto perché è la certezza primaria da cui dipendono le altre. La casa grande e bella, il part time di Sandra per stare vicina ai figli, la macchina nuova, le vacanze al mare e il natale in montagna, gli amici copia carbone di noi, il televisore ultimo modello, l’amante come passatempo del sabato pomeriggio, la palestra per restare in forma, i vestiti firmati, fare l’amore con mia moglie con la stessa programmazione che uso in ufficio. Il lavoro sempre e prima di tutto. Luca si suicida e lascia quelle parole sullo schermo del computer “non è questa la vita che volevo”.Luca il mio collega. Il mio amico, quello la cui vita mi sembrava perfetta, e perfetto lui nella sua ironia e allegria, nel suo essere entusiasta e soddisfatto. Lo ammiravo sul lavoro e lo ammiravo per quello che aveva. Volevo bene a Luca. Abbiamo tanto parlato e nulla ricordo di quei discorsi. Parlavamo senza parlare, senza usare il nostro vero essere. Parlavamo del nulla e nulla è rimasto. Il nulla delle nostre vite. Apparenza. Luca si affaccia alla finestra del suo ufficio e con un volo di cinque piani cancella la vita che non voleva. E io? Che vita volevo? Che vita ho? Luca tu hai avuto coraggio di scavalcare il davanzale e concludere sull’asfalto quello che non riuscivi più a finire nei giorni normali. E io? Dove è sparito il me stesso che voleva fiori e cicale e il mare da vivere tutti i giorni dell’anno? Nemmeno ricordo quali fossero i miei sogni, il “da grande voglio fare…” Vigliacco sono e resto vigliacco in questi confini ristretti e con nulla oltre. Non ho coraggio né di morire, né di cambiare, né di vivere.
Il gusto del caffè mi si impasta in bocca con la nausea.
Mentre lo guardava uscire dal bar con lenti passi e le mani chiuse a pugno non capì come, ma le sembrò che il fardello di quel lavoro così pesante e così poco amato non ci fosse più.
Provò inattesa la sensazione di leggerezza e allegria come fosse vacanza e domenica di sole e primavera. Quell’uomo che piangeva non c’era più, ma ne avvertiva ancora il dolore e nello stesso tempo quella folgorante sensazione di vita.
Camminava per la solita strada
Sorrideva all’ombra che si allungava dai suoi piedi e risaliva sul muro dei palazzoni di quella estrema periferia. Sorrideva e pensava che appena entrata in casa sarebbe andata ad abbracciare mamma, che svegliandosi stupita le avrebbe detto “Gioia mia”, e papà che russava sonoro a fianco avrebbe grugnito un qualche “ma ti sembra l’ora?”.
Dopo pranzo avrebbe sentito la voce di Antonio, innamorata e allegra, e avrebbero programmato il fine settimana e lei gli avrebbe detto “Sì” sì e sì e sì.
Stanca.
Camminava un passo dopo l’altro con pensieri limpidi e puliti e la sensazione di avere superato un ostacolo.
Era ora di cercarsi un altro lavoro.
(Pink Floyd "Any colour you like")
La fotografia è "Tears" di Man Ray
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Antonio Gramsci "La Città Futura" (1917)
" Odio gli indifferenti: credo come Federico Hebbel che “vivere vuol dire essere partigiani”. Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e partigiano. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. E’ la palla di piombo per il rinnovatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che circonda la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scoraggia e qualche volta li fa desistere dall’impresa “eroica”. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. ".......
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