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Filippa Filippazzi

Post n°308 pubblicato il 20 Gennaio 2007 da liberante
 

Passarono ritmati dalla musica, quella che si ascoltava dalle prime radio libere.
Il bello della mia vita era studiare e lo facevo con impegno e orgoglio solo per me, perché alla mia famiglia importava nulla, troppo impegnati a lavorare per garantire a noi figli quel futuro che io non volevo.
Avrei voluto abitare in un paesino e non in una grande città, così almeno per frequentare l’università avrei potuto andarmene da casa.
Gli anni dell’università non furono molto diversi da quelli del liceo finchè non conobbi Alfio.
Lo so che ho divagato ma il discorso casa è legato ad Alfio.
Lui era all’ultimo anno di farmacia ed io al terzo di lettere.
Fu un incontro karmico, o almeno così mi sembrò.
E dovevo essere infarcita di letteratura per vedere in Alfio l’incontro del destino. Un po’ di esperienza di ragazzi me l’ero fatta, ma erano state solo delusioni.
Alfio incrociato per caso alla mensa universitaria mentre cercava di pulirsi il puré di patate che gli era colato sul maglione mi aveva fatto tenerezza.
Alfio era il figlio del farmacista che aveva bottega vicino a quella dei miei genitori.
Mi sembrò che un angelo fosse piombato nella mia vita.
Eravamo simili in troppe cose per non pensare a una benedizione celeste.
Già solo partendo dal nome, Alfio Figoni e anche lui era stato lo zimbello di tutti.
Piccolo di statura, quasi del tutto senza capelli e quei pochi di un biondiccio spento, occhiali spessi e occhietti da talpa miope, una bella bocca e una voce calda e un po’ roca che mi dava brividi di eccitazione anche solo se parlava del prezzo delle rape.
Fu un amore travolgente e istantaneo.
L’anno in cui si laureò ci fidanzammo ufficialmente con tanto di anello e ricevimento con parentado dell’una e dell’altra parte.
Ecco.
Quello fu il riavvicinamento alla mia famiglia. Nonno Filippo che, nel frattempo era diventato buonanima assieme a nonna Elia, e i miei genitori ci benedivano e non  sembrava vero che quella matta della loro figliola si sarebbe sposata con un bottegaio come loro.
Alfio, invece, rispettava e capiva la mia scelta di voler insegnare.

Era la perfezione.
I miei genitori comperarono l’appartamento al terzo piano sopra la salumeria e me lo regalarono come dono di nozze e di laurea, perché le nozze erano fissate per il mese successivo.
Nei quasi tre anni di fidanzamento con Alfio il nostro amore era diventato una cosa grande e bellissima. Almeno questo era quello che credevo.
La prima volta che facemmo l’amore e per me non era la prima volta in assoluto, ma questa è un’altra storia, dicevo, la prima volta che facemmo l’amore ebbe attenzioni e dolcezze che non mi sarei mai aspettata.
Era tenero, sensibile, interessato a tutto di me, e tutto voleva sapere. Forse avrei dovuto capirlo da questa sua attenzione così delicata, ma allora ero innamorata e si sa, l’amore ti fa vedere solo quello che vuoi vedere.
Per farla breve e lo so che ho divagato, ma non potevo spiegare il significato di “mia casa” senza spiegare tutto quello che mi aveva portato ad Alfio.
Alfio Figoni, farmacista.
Mi laureai a luglio e festeggiammo a famiglie riunite stabilendo la data del matrimonio per il 17 settembre, che era un lunedì, giorno di chiusura della salumeria e della farmacia. 
Prima la bottega, questo era il motto dei miei e anche dei loro.
Quell’anno, Alfio ed io, non andammo in vacanza al mare. C’era da sistemare l’appartamento che mi avevano regalato i miei, mentre quelli di Alfio avevano provveduto all’arredamento. E poi c’erano i milioni di altre cose per preparare la cerimonia e il rinfresco.
Il lunedì prima del matrimonio doveva venire l’idraulico a finire il lavoro in bagno e ricordo che non lo dissi ad Alfio e non so perché, una semplice dimenticanza.
Entrai nella nostra futura casa e mi sembrò di sentire delle voci, ma non vi feci caso, pensando fossero i vicini. La casa era al buio e andai nella camera che sarebbe stata la “nostra camera” sorridendo felice e con malizia al ricordo di come avevamo collaudato il letto. Canticchiavo una canzone di Battisti che era il nostro cantante preferito.
Accesi la luce e un treno che mi investiva non mi avrebbe fatto meno male.
Sul NOSTRO letto, in un groviglio di braccia e gambe, nudi e sudati, ansimanti e sordi a qualunque altra cosa che non fosse quello che stavano facendo, c’erano Alfio e mio fratello Astolfo, uno dentro l’altro.
Mi hanno raccontato che urlai e svenni.
Quando mi ripresi ero sul divano in sala al buio e Alfio mi guardava. Mio fratello aveva preferito defilarsi.
Così finì il mio fidanzamento.
Dicemmo a tutti che avevamo capito di non essere fatti uno per l’altro e altre idiozie del genere.
Fu un dramma e tutto il rione ebbe pettegolezzi per anni e anni.
La mia casa.
Alfio non si sposò mai e continuò a fare il farmacista, mio fratello Astolfo nemmeno e continuò a fare il salumiere, e nemmeno io che diventai insegnante di lettere al liceo classico.

(Un grazie grande grande a chi mi ha regalato Alfio Figoni)

....

 
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webnaufrago
webnaufrago il 24/01/07 alle 00:24 via WEB
Certo che anche queste sono emozioni! Il bello dei ricordi è che anche quello che allora poteva trafiggerci profondamente con il passare del tempo li ridimensiona al punto da farci sorridere. Per me è sempre un piacere leggerti.
 
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Antonio Gramsci "La Città Futura" (1917)   

 

" Odio gli indifferenti: credo come Federico Hebbel che “vivere vuol dire essere partigiani”. Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e partigiano. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. E’ la palla di piombo per il rinnovatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che circonda la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scoraggia e qualche volta li fa desistere dall’impresa “eroica”. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. ".......

..... continua qui  

 

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