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Sono tornate le rane nel Redefossi.
Mentre aspettavo l’autobus, ero, come al solito, appoggiata al parapetto e guardavo più in basso il fosso, una fogna a cielo aperto.
Lo guardo perché non c’è niente altro da guardare e poi la primavera delle foglie ha ricoperto molto del brutto che l’inverno denuda.
Guardavo disattenta più consapevole del cielo azzurro fondo e del calore consolante del sole che di tutto il resto, forse trasformando con la fantasia il miserevole canale e le brutte case in immagini di calli e campielli e palazzi come merletti.
Non c’è molta allegria nel mio aspettare l’autobus che mi porta dalla Nonna, chè ogni volta è attesa del dolore, tagliente e rabbioso.
Ho sentito il gracidare, con stupore, allora ho osservato l’acqua.
Limpida e cristallina scorreva sulla melma del fondo.
Non l’avevo mai vista così pulita e ho pensato che la tanta pioggia degli ultimi giorni aveva lavato l’acqua.
Acqua che lava l’acqua, marcia e putrida, di questo fosso infestato da topi grossi come gatti.
Ed eccole.
Le rane.
Nuotavano in gruppi, con quel loro movimento a scatti, lucide e verdi, e sulle sponde nemmeno un topo.
Un piccolo miracolo.
Il verde grasso e nuovo delle rive, l’acqua trasparente e le rane.
Se ci sono loro il fosso è ritornato ad essere bello, come me lo racconta chi in questo paese di pianura ci vive da quando è nato e ci faceva il bagno da bambino.
Mi è sembrato all’improvviso tutto più bello, per un attimo ho anche pensato di scendere la riva e di accarezzare l’acqua.
Non era più il fosso melmoso e fetido.
L’ho visto come un torrente e magari ci sarebbero ritornati anche i pesci e le libellule e i bambini a sguazzarci dentro e i vecchi a pescare.
Non sarà così.
Di nuovo si asciugherà e la poca acqua resterà ferma a formare fango e putrefatte sostanze non meglio identificabili e torneranno i topi grossi come gatti e la puzza.
Stamattina però era bello.
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Antonio Gramsci "La Città Futura" (1917)
" Odio gli indifferenti: credo come Federico Hebbel che “vivere vuol dire essere partigiani”. Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e partigiano. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. E’ la palla di piombo per il rinnovatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che circonda la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scoraggia e qualche volta li fa desistere dall’impresa “eroica”. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. ".......
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