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dieci e quarantanove

Post n°576 pubblicato il 22 Novembre 2017 da liberante

Apro piano la porta. Sono emozionata. È troppo tempo che non entro ed immagino polvere ed odore di chiuso e quel senso di abbandono che solo i luoghi tanto amati e non più frequentati sanno dare. Sì, è vero sono venuta per il 25 aprile di ogni anno perché è un giorno in cui non posso non esserci, con la doppia negazione che odio ma che rende bene il senso, ma non basta per far ridiventare mio questo posto. Qui c'è davvero una parte di me e non potrei fare a meno di tutto quello che ho scritto in quegli anni. E quindi la domanda: perché non ho più scritto? Alibi e scusanti ne ho tanti. Mancanza di tempo è la più gettonata, ma anche mancanza di voglia. Eppure nei momenti in cui fumo la mia eterna sigaretta affacciata al balcone dell'ufficio nella mia testa i pensieri si allineano come parole e scrivo storie, che restano lì, in un cassetto della memoria e forse un giorno le tirerò fuori. Altra domanda. E perché oggi scrivo? Ma qui la risposta è facile. Perché ho voglia di trovare sulla tastiera i miei pensieri. Di inseguirli di nuovo tra tasto e tasto e cercare tra gli spazi bianchi il senso di me. Egoismo? Esibizionismo? Certo, ma anche emozione. E quindi mi racconto.

Periodo difficile perché finalmente mancano poco più di tre mesi alla pensione e di questo sono felice ed anche di più, ma … che c'è sempre un ma … il mio lavoro, che nonostante tutto amo, mi è diventato pesante. Pesante il tempo che mi porta via al benessere che provo a fare le cose che mi piacciono. Pesante il dovere fare a quell'ora quella cosa e non scegliere io quando svegliarmi, vestirmi, fare la lavatrice, andare a spasso ed altre sciocchezze che sciocchezze non sono. E poi la vecchiezza (!) con quel che si porta appresso di acciacchi. Le trascuratezze del tempo giovane le sto scontanto nel tempo vecchio.

Periodo sereno, positivo, allegro e perfino felice. La cosa che più mi spaventava e cioè il tornare a vivere con M. dopo una separazione di ben cinque anni si è rivelata la cosa migliore che potesse succedermi. Non è stato facile e nemmeno breve, però, dopo più di sei anni di ri-convivenza, posso dire che sto bene con lui. Siamo riusciti per un miracolo inspiegabile a trovare un equilibrio tra i nostri difetti e le nostre virtù e questo ha portato il rapporto ad un livello diverso da come non era mai stato. Amicizia. Quando lo amavo di quell'amore malato, forte ed egoista che pretendeva di cambiarlo, di non accettare le nostre differenze, con lui stavo male. Ormai, e forse la vecchiezza in questo aiuta, ho capito che tutti i miei difetti sono pari a tutti i suoi difetti e quindi accettando lui accetto me stessa.

Periodo meraviglioso e di orgoglio puro per il figlio, quello che era il Venticinquenne Pargolo, detto V.P., ora è un uomo di quasi trentacinque anni, che si sta costruendo la vita che vuole, con la sua meravigliosa compagna, che per me è la figlia che avrei voluto e che adesso ho. Sono insieme da un bel po' e vivono insieme a Milano da cinque anni. Sono a volte incredula e ammirata di quanto sono cresciuti insieme e di quanto stanno facendo per la loro vita e per il loro futuro e di quanto mi rendano orgogliosa. Sono emozioni così belle che mi fanno stare bene e molto. Penso che quasi tutto il benessere che provo mi derivi da questo vedere compiersi una tale magia. Certo sono anche preoccupata che il Pargolo troppo lavora, anche se capisco che sta investendo in una carriera importante e i successi quando arrivano sono bombe di fiducia e felicità. Sono anche preoccupata per la sua donna che ancora non ha un lavoro a tempo indeterminato, ma lo so che la situazione per i giovani è troppo brutta e che è già un miracolo avere un contratto di sei o nove mesi.


Ecco per oggi può bastare. Ho pulito questo luogo e ho messo un vasetto di margherite sul davanzale della finestra e chissà che una persona davvero speciale non lo veda.



 
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Ruggero il 30/12/18 alle 01:34 via WEB
...ah, scrivi... Ogni tanto. Un abbraccio. Rob.
 
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Antonio Gramsci "La Città Futura" (1917)   

 

" Odio gli indifferenti: credo come Federico Hebbel che “vivere vuol dire essere partigiani”. Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e partigiano. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. E’ la palla di piombo per il rinnovatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che circonda la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scoraggia e qualche volta li fa desistere dall’impresa “eroica”. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. ".......

..... continua qui  

 

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