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C'era una volta Silvio...


Affari sospetti, Deaglio gira la Silvio-story Film stile Michael Moore. Il direttore del Diario e Cremagnani: si parla di mafia, sarà una bomba MILANO—«C’era una volta..."Un re!" diranno subito i miei piccoli lettori. No, ragazzi, avete sbagliato». In effetti c’era una volta un tycoon brianzolo che divenne presidente del Consiglio, all’inizio del film si vede Lella Costa che legge Pinocchio e introduce soave il tema, «Figuratevi un omino più largo che lungo, tenero e untuoso come una palla di burro...», solo che qui il Paese di Balocchi dove i «ragazzi svogliati» vengono trasformati in «ciuchini » è diventato l’Italia, l’omino che li acchiappa è Silvio Berlusconi e il racconto si fa ben presto una fiaba nera. Titolo: «Quando c’era Silvio».L’essenziale non è il conflitto di interessi o la censura, «noi non ci siamo lamentati e con appena 60 mila euro abbiamo mostrato che un film così si poteva fare». No, l’essenziale è molto peggio. Si parte dalla Milano dei primi Anni Settanta, una città dove capitava «di incontrare strani personaggi, Michele Sindona, Roberto Calvi, Luciano Liggio, Stefano Bontade». È un verminaio che segna il cambiamento, le vecchie famiglie altoborghesi cedono il passo e bisogna vederla, l’intervista che Guido Vergani fece a Gioia Falk, «sono cambiati i tempi, moralmente la gente come la mia famiglia ha meno importanza, anche come esempio, gli esempi sono altri». Così le musiche di Carlo Boccadoro e l’immagine ricorrente di un gigantesco Cavallo di Troia scandiscono l’ascesa del giovane Berlusconi, un uomo «dalla straordinaria capacità di farsi prestare soldi da persone che restano anonime». Si racconta la storia della Villa Casati-Stampa ad Arcore, gioiello settecentesco acquistato con appena cinquecento milioni, quadri del Tintoretto compresi, grazie al tutore della ragazzina che l’aveva ereditata, Cesare Previti. E pure del famoso stalliere di Arcore, il boss mafioso Vittorio Mangano, assunto da Dell’Utri, che passò gli ultimi giorni in carcere, malato di cancro, perché «rifiutò di barattare la sua dignità con la libertà», si legge nella sua lapide a Palermo.Intervistato da Fabrizio Calvi 50 giorni prima d’essere ammazzato, Borsellino spiega che i «cavalli» in gergo sono le partite di droga. Gli chiedono: è normale che uomini d’onore avessero collegamenti con Berlusconi e Dell’Utri? E il magistrato: «È normale che chi è titolare di grosse quantità di denaro cerchi gli strumenti per poter questo denaro impiegare, sia dal punto di vista del riciclaggio, sia per far fruttare questo denaro». L’11 dicembre 2004 Marcello Dell’Utri viene condannato in primo grado a 9 anni per concorso in associazione mafiosa. Il pm Ingroia racconta di quando il premier, sentito come testimone, «si avvalse della facoltà di non rispondere». A proposito della nascita di Forza Italia, spiega: «La sentenza di condanna del senatore Dell’Utri dice che si adoperò e si gettò a capofitto con un ruolo decisivo rispetto alla fondazione del movimento per andare incontro ai desiderata di Cosa Nostra». Il montaggio è spietato, all’immagine di Dell’Utri che dice «la mafia non esiste, è un modo di essere, di pensare» e spiega di «averla vista solo al cinema o sui libri», segue un Totò Riina, faccia alla Buster Keaton, che sillaba imperturbabile: «Cosa Nostra? Non ho frequentato, non conosco, mai sentito parlare». Alla fine, come al processo, si mostra il ritratto di un Berlusconi che non comanda «ma è guidato », sospira Deaglio. E ora, è finita? La voce narrante, tra le immagini del casting del Grande Fratello, dice angosciata: «Lasciò un’Italia vaccinata, ma anche plasmata a sua immagine». Alla fine c’è di nuovo Lella Costa che legge Pinocchio, «E ora avete capito, miei piccoli lettori, qual era il bel mestiere che faceva l’Omino?»Tratto da:Gian Guido Vecchi, "Il Corriere della Sera"SARANNO CENTOMILA I DVD IN VENDITA CON IL SETTIMANALE IL DIARIO, NELLE LIBRERIE FELTRINELLI ATTRAVERSO IL CIRCUITO HOME VIDEO TRADE. PROSSIMAMENTE DOVREBBE USCIRE ANCHE NELLE SALE.