Il Libro di Sabbia

L'Apocalisse al cinema: Andrea Tagliapietra, Icone della fine.


(Andrea Tagliapietra, Icone della fine. Immagini apocalittiche, filmografie, miti, Il Mulino 2010, 218 pp., 16 €)Carlo Baja Guarienti-All’appressarsi della fine, dice l’Apocalisse di Giovanni, il Diavolo capirà di non avere più tempo e riverserà la propria furia sul mondo. Allo stesso modo tanti uomini, spaventati dalla brevità della vita, finiscono oggi per allearsi con il Nemico scegliendo mille scorciatoie per il successo e accelerando, inconsapevolmente, l’arrivo della temuta fine: un’Apocalisse di inquinamento, corruzione, ingiustizia.Ogni epoca ha conosciuto la paura della fine del mondo: l’idea che l’avventura terrena dell’uomo sia destinata un giorno a concludersi non appartiene solamente al Cristianesimo, ma tormenta la nostra razza fin dagli albori, dai primi cicli mitologici attraverso i quali l’umanità cercò di comprendere la propria storia.Ma se l’ossessione apocalittica dell’uomo medievale, con la sua immaginazione nutrita di mostri e visioni, non stupisce, altrettanto non si può dire di quella del nostro tempo. Il XX secolo ha visto il trionfo della scienza, le cui conquiste hanno eroso come mai era accaduto in precedenza lo spazio reclamato dalla religione, eppure l’uomo del duemila è ancora tormentato dalla paura della fine: una fine che ha cambiato volto - sostituendo alle bestie demoniache del veggente di Patmos spettri di gas inquinanti e tracolli economici mondiali – ma che ancora alimenta gli incubi dei mortali.Di questi incubi e della loro rappresentazione nella forma d’arte più tipica del nostro tempo, il cinema, si occupa lo stimolante – intellettualmente e moralmente - saggio di Andrea Tagliapietra “Icone della fine” (il Mulino 2010, 218 pp., 16 €). L’autore, docente di Storia della filosofia all’Università San Raffaele di Milano, analizza attraverso una serie di immagini – dall’anticristo di Polanski ai cataclismi di Emmerich passando per gli angeli di Wenders – la paura che ci attanaglia alla vista dei molti volti della fine: la morte del corpo e la distruzione del mondo, ma anche il disgregarsi della società e il naufragio della speranza nel futuro.Immagini, appunto: perché sull’orlo dell’abisso la parola sembra confondersi e l’immagine, grammatica essenziale del pensiero mitico, torna a essere l’unico linguaggio possibile, la sola via per raccontare – e quindi cercare di comprendere – l’angoscia della fine.(Gazzetta di Parma, 10 marzo 2011)