Il Libro di Sabbia

Viaggio nei misteri d'acqua.


(Maria Savi-Lopez, Leggende del mare, Sellerio 2008)Carlo Baja Guarienti-Il mito, hanno scritto studiosi di storia della cultura come Jean-Claude Schmitt, esprime le verità essenziali di una società. Scavando nei miti, andando al cuore delle narrazioni conservate dalla memoria collettiva e rielaborate attraverso i secoli, si può talvolta scorgere un nucleo antico di convinzioni profonde, di paure o fascinazioni ancestrali; e ci sono oggetti mitici – eroi, luoghi, trame – capaci di attraversare i secoli e le frontiere per emergere con uguale forza nel patrimonio folklorico di popoli lontani nel tempo e nello spazio.Uno di questi oggetti è il mare, sublime potenza distruttrice di civiltà, da sempre crocevia di attrazione e repulsione: l’uomo, pur temendo le tempeste e le maree, non ha mai saputo reprimere il desiderio di scoprire che cosa si trovi oltre le immense distese d’acqua o, almeno, di immaginare all’orizzonte terre favolose. Dai viaggi di Ulisse, incarnazione quasi archetipica del desiderio di conoscenza, ai vagabondaggi della narrativa moderna e contemporanea (si pensi solo a Melville, Conrad o Hemingway), il mare è stato scelto come teatro dell’ultima sfida, la prova che può consacrare l’eroe o annientarlo.I diversi volti di questo nemico/amico dell’umanità sono ritratti nelle Leggende del mare, opera riscoperta dal catalogo Sellerio (la prima edizione risale al 1894) e dovuta alla penna di Maria Savi-Lopez, studiosa di folklore nata nel 1846 e morta nel 1940: appartenente, dunque, alla generazione di Giuseppe Pitrè, quella generazione di raccoglitori di storie e leggende popolari le cui ricerche hanno aperto la via agli studi di antropologi come Giuseppe Cocchiara ed Ernesto De Martino.L’autrice, tuttavia, non guarda alle storie con l’occhio analitico dell’antropologo: è soprattutto la poesia dell’opera collettiva del popolo, «poeta sovrano», a conquistarla. Le leggende si susseguono quindi, come sottolinea Antonino Buttitta nella nota conclusiva, per accostamenti tematici che non tengono conto di ottiche diacroniche (si passa senza soluzione di continuità dall’antichità al Novecento) o diastratiche (il racconto popolare è posto sullo stesso piano della poesia colta); tutto è dominato dalla passione narrativa, dal piacere di lasciarsi trasportare sul mare burrascoso della tradizione favolistica. Entrano così in scena sirene e vascelli fantasma, mostri biblici e divinità pagane, città sommerse da maremoti come Atlantide o isole dell’eterna felicità come Thule: visioni che popoli lontani fra loro, come i greci creatori dell’epica omerica e i finni autori del Kalevala, hanno consegnato alla posterità sotto forma di poemi, fantasiosi racconti di viaggio, storie tramandate oralmente. Al centro di tutto un solo protagonista dai molti nomi: che sia chiamato Baltico o Mediterraneo, Atlantico o Pacifico, il deserto d’acqua divide i continenti e unisce le culture nel segno del fascino che le sue immense distese esercitano sull’uomo.(Gazzetta di Parma, 22 novembre 2008)