Il Libro di Sabbia

Legge e imparzialità: iconografia e storia di un nobile ideale.


(Adriano Prosperi, Giustizia bendata. Percorsi storici di un'immagine, Einaudi 2008)Carlo Baja Guarienti-Una donna bellissima, dagli occhi bendati, sta ferma sulle scale di un tempio; stringe in una mano una spada – con cui trafigge a caso torme di innocenti – e nell’altra una bilancia carica dell’oro di chi schiva i suoi colpi. All’improvviso un giovane dal berretto rosso le strappa la benda: gli occhi della donna, corrosi e imputriditi, rispecchiano «la follia di un’anima morente».Così, all’inizio del XX secolo, Edgar Lee Masters rappresentava la giustizia nella sua Antologia di Spoon River. Qualche anno prima Masters, avvocato, aveva tentato invano di difendere un giovane simpatizzante anarchico: nell’aula di un tribunale la legge aveva mostrato apertamente il proprio vero volto colpendo senza ragione, solo per ossequio al potere, un innocente.La benda, la bilancia, la spada: a questi attributi, la cui associazione i tribunali del mondo anglosassone conoscono molto meglio di quelli italiani, è dedicato l’ultimo libro di Adriano Prosperi, Giustizia bendata. Percorsi storici di un’immagine. Prosperi, docente alla Scuola Normale Superiore di Pisa, in questo volume studia la storia attraverso le immagini e le immagini attraverso la storia in quanto, come lo stesso autore sottolinea, il gioco dei simboli è storicamente determinato e dietro a ogni particolare di un’iconografia si nasconde un significato.Osserviamo, così, la bilancia passare dalle mani della dea egizia Ma’at a quelle della giustizia dei pittori umanisti: in mezzo, a congiungere con una linea questi punti lontanissimi, la Bibbia e le rappresentazioni medievali del Giudizio Universale. Qui la bilancia è attributo dell’arcangelo Michele, pesatore di anime, che punisce i peccatori con la spada; spada che ritorna, in alcune raffigurazioni del Giudizio, come forma visibile della sentenza pronunciata da Cristo.Molto più problematico il ruolo della benda, che copre gli occhi di Cristo nella Passione e che ancora oggi è imposta ai condannati a morte. Nell’iconografia della sinagoga ebraica essa rappresenta la cecità di chi non seppe riconoscere il figlio di Dio e, analogamente, al suo primo apparire come attributo della giustizia ha un significato negativo: nella Nave dei folli di Sebastian Brant, opera pubblicata a Basilea nel 1494, è proprio un folle a nascondere la verità agli occhi della giustizia. Nel giro di pochi anni, tuttavia, la cecità della giustizia diviene garanzia di equità: il giudice, bendato, applica la legge senza che le apparenze del mondo possano indirizzare la sua sentenza.Ma quale volto ha oggi la giustizia? Quello impassibile attribuitole dal Giambologna e da Battista Dossi o quello folle e corrotto intravisto da Lee Masters? Lo spettacolo offerto dai tribunali, quello spettacolo che le telecamere mostrano al pubblico e che spesso divide gli spettatori in ultras della condanna o dell’assoluzione, è una rappresentazione di equità o di parzialità? Difficile rispondere. Ma forse non è un caso che anche in Italia gli storici (fra gli autori di importanti studi recenti troviamo anche Ottavia Niccoli, Cesarina Casanova e Giancarlo Angelozzi) si interroghino sulla nascita, sulla natura, sui limiti d’azione di quella misteriosa e terribile donna bendata. (Gazzetta di Parma, 1 aprile 2009)