Mi è tornato fra le mani un libro di tre anni fa, uno dei migliori romanzi che io abbia letto negli ultimi anni.(R. Fresán, I giardini di Kensington, Mondadori 2006)Carlo Baja Guarienti-Essere scrittori a Buenos Aires oggi significa necessariamente confrontarsi con un modello letterario, quello di Borges, ingombrante e pericoloso: seguire le orme del grande bonaerense significa infatti inserire nella propria tavolozza un colore sempre affascinante quanto immediatamente riconoscibile. Ma, nonostante la nota di copertina del volume Mondadori suggerisca questo pericolo («Fresán è un Borges pop»), I giardini di Kensington è l’opera di un autore pienamente capace di esprimersi con la propria voce.Né solamente romanzo né, tantomeno, puro saggio biografico, il libro è in realtà un monologo lungo quattrocento pagine, una sorta di viaggio all’inseguimento dei pensieri e ricordi di un protagonista insolito: Peter Hook, scrittore di best seller per ragazzi, che in preda ad una lucida follia ricostrisce la genesi del suo estremo, spettacolare atto di narcisismo raccontando la propria vita e quella di James Matthew Barrie, l’autore di Peter Pan.Due vite, dunque, come filo conduttore. Una reale per quanto a tratti incredibile, l’altra immaginaria benché ricostruita nei minimi particolari. Due epoche e – forse – due città che, pur condividendo il nome di Londra, sono diversissime: una - la Londra del primo Novecento - percorsa da un inarrestabile fermento letterario e artistico, l’altra – la swinging London degli anni Sessanta – immersa nella multicolore epopea kitsch del rock and roll.Nella prima città un giovane giornalista introspettivo e di bassa statura, una sorta di elfo perso nella metropoli, giunge in sordina per sconvolgere il mondo della letteratura. L’impero britannico conosce in quegli anni una fioritura culturale senza precedenti: è il tempo di Rudyard Kipling e Henry James, di William Butler Yeats e George Bernard Shaw, di Hardy, di Wells con la sua macchina del tempo e di Conan Doyle con il suo infallibile Sherlock Holmes. Classici viventi della letteratura inglese, figli del lungo e prospero regno di una regina chiamata (nomen omen) Vittoria. In mezzo a questi nomi, alcuni dei quali sono suoi amici e ammiratori, Barrie si muove con tutta la carica anticonformista del suo carattere: convince Chesterton e Shaw ad interpretare una coppia di grotteschi cow-boys in un filmino casalingo, forma con Arthur Conan Doyle e Jerome K. Jerome una squadra di cricket battezzata «Allahakbarries», passeggia con il suo gigantesco san Bernardo Porthos nei giardini di Kensington. Proprio qui, mentre simula incontri di boxe con Porthos per il divertimento dei bambini, Barrie conosce i fratelli Llewelyn Davies: è l’inizio di una grande amicizia fra uno scrittore eternamente bambino e una famiglia segnata da un’interminabile sequenza di lutti. È l’inizio della storia di Peter Pan, il bambino che nei giardini di Kensington si nasconde per sfuggire al tempo.Nell’altra Londra, quella anni Sessanta, nasce Peter Hook: pseudonimo ambiguo e ironico di uno scrittore la cui strana infanzia psichedelica inizia con Bob Dylan intento a vomitare su una collezione di soldatini. L’infanzia di Hook, divisa tra le feste delle stelle del rock e i loro funerali, è in qualche modo quella di un Batman cinico e antieroico, perso nei meandri delle sue stesse creazioni letterarie; e nella biografia fittizia s’inserisce così la bibliografia fittizia, l’epopea del giovane Jim Yang amato e odiato dal suo creatore. In questo gusto per la ricostruzione minuziosa di particolari inventati, certamente, Fresán ricorda le complesse architetture narrative di Borges.Ma al di là della passione letteraria, che traspare da ogni pagina, stupisce la capacità che Fresán dimostra nel difficile compito di inseguire con la penna i pensieri del suo protagonista. I ricordi si annodano, procedono a salti tra il passato e il presente, talvolta prendono direzioni del tutto inaspettate; ma il meccanismo della narrazione padroneggia tutto e anche le stravaganze (come un interminabile e divertito elenco di celebrità scatenate ad una festa) sono architettate con intelligenza misurando attentamente ironia e riflessione. Perché la vita di Barrie, come quella di Hook e come tutte le altre, è un palcoscenico sul quale la commedia può in qualsiasi momento, inaspettatamente, lasciare il posto alla tragedia.(Gazzetta di Parma, 9 giugno 2006)
Scrittori paralleli
Mi è tornato fra le mani un libro di tre anni fa, uno dei migliori romanzi che io abbia letto negli ultimi anni.(R. Fresán, I giardini di Kensington, Mondadori 2006)Carlo Baja Guarienti-Essere scrittori a Buenos Aires oggi significa necessariamente confrontarsi con un modello letterario, quello di Borges, ingombrante e pericoloso: seguire le orme del grande bonaerense significa infatti inserire nella propria tavolozza un colore sempre affascinante quanto immediatamente riconoscibile. Ma, nonostante la nota di copertina del volume Mondadori suggerisca questo pericolo («Fresán è un Borges pop»), I giardini di Kensington è l’opera di un autore pienamente capace di esprimersi con la propria voce.Né solamente romanzo né, tantomeno, puro saggio biografico, il libro è in realtà un monologo lungo quattrocento pagine, una sorta di viaggio all’inseguimento dei pensieri e ricordi di un protagonista insolito: Peter Hook, scrittore di best seller per ragazzi, che in preda ad una lucida follia ricostrisce la genesi del suo estremo, spettacolare atto di narcisismo raccontando la propria vita e quella di James Matthew Barrie, l’autore di Peter Pan.Due vite, dunque, come filo conduttore. Una reale per quanto a tratti incredibile, l’altra immaginaria benché ricostruita nei minimi particolari. Due epoche e – forse – due città che, pur condividendo il nome di Londra, sono diversissime: una - la Londra del primo Novecento - percorsa da un inarrestabile fermento letterario e artistico, l’altra – la swinging London degli anni Sessanta – immersa nella multicolore epopea kitsch del rock and roll.Nella prima città un giovane giornalista introspettivo e di bassa statura, una sorta di elfo perso nella metropoli, giunge in sordina per sconvolgere il mondo della letteratura. L’impero britannico conosce in quegli anni una fioritura culturale senza precedenti: è il tempo di Rudyard Kipling e Henry James, di William Butler Yeats e George Bernard Shaw, di Hardy, di Wells con la sua macchina del tempo e di Conan Doyle con il suo infallibile Sherlock Holmes. Classici viventi della letteratura inglese, figli del lungo e prospero regno di una regina chiamata (nomen omen) Vittoria. In mezzo a questi nomi, alcuni dei quali sono suoi amici e ammiratori, Barrie si muove con tutta la carica anticonformista del suo carattere: convince Chesterton e Shaw ad interpretare una coppia di grotteschi cow-boys in un filmino casalingo, forma con Arthur Conan Doyle e Jerome K. Jerome una squadra di cricket battezzata «Allahakbarries», passeggia con il suo gigantesco san Bernardo Porthos nei giardini di Kensington. Proprio qui, mentre simula incontri di boxe con Porthos per il divertimento dei bambini, Barrie conosce i fratelli Llewelyn Davies: è l’inizio di una grande amicizia fra uno scrittore eternamente bambino e una famiglia segnata da un’interminabile sequenza di lutti. È l’inizio della storia di Peter Pan, il bambino che nei giardini di Kensington si nasconde per sfuggire al tempo.Nell’altra Londra, quella anni Sessanta, nasce Peter Hook: pseudonimo ambiguo e ironico di uno scrittore la cui strana infanzia psichedelica inizia con Bob Dylan intento a vomitare su una collezione di soldatini. L’infanzia di Hook, divisa tra le feste delle stelle del rock e i loro funerali, è in qualche modo quella di un Batman cinico e antieroico, perso nei meandri delle sue stesse creazioni letterarie; e nella biografia fittizia s’inserisce così la bibliografia fittizia, l’epopea del giovane Jim Yang amato e odiato dal suo creatore. In questo gusto per la ricostruzione minuziosa di particolari inventati, certamente, Fresán ricorda le complesse architetture narrative di Borges.Ma al di là della passione letteraria, che traspare da ogni pagina, stupisce la capacità che Fresán dimostra nel difficile compito di inseguire con la penna i pensieri del suo protagonista. I ricordi si annodano, procedono a salti tra il passato e il presente, talvolta prendono direzioni del tutto inaspettate; ma il meccanismo della narrazione padroneggia tutto e anche le stravaganze (come un interminabile e divertito elenco di celebrità scatenate ad una festa) sono architettate con intelligenza misurando attentamente ironia e riflessione. Perché la vita di Barrie, come quella di Hook e come tutte le altre, è un palcoscenico sul quale la commedia può in qualsiasi momento, inaspettatamente, lasciare il posto alla tragedia.(Gazzetta di Parma, 9 giugno 2006)