Il Libro di Sabbia

«Il libro degli esseri immaginari» di Borges.


Riletture borgesiane.(J. L. Borges, Il libro degli esseri immaginari, Adelphi 2006)Carlo Baja Guarienti-«Il titolo di questo libro potrebbe ammettere l’inclusione del principe Amleto, del punto, della linea, della superficie, dell’ipercubo, di tutti i termini generici e, forse, di ciascuno di noi e della divinità.»Così, con un’ipotesi di mise en abyme assolutamente coerente con il suo stile, Borges introduce il lettore al Libro degli esseri immaginari; ma prosegue precisando di aver voluto scrivere solo uno dei bestiari possibili, necessariamente incompleto e centrato sui mostri reperibili nelle opere letterarie. Opera d’erudizione, dunque, che segue i gusti dell’autore molto più che un progetto di preordinata completezza: si va da luoghi familiari al lettore di Borges, come Le mille e una notte o l’epica scandinava o l’opera di Swedenborg, alla letteratura cinese e indiana, ma c’è anche spazio per la latinità e l’Ottocento. Il tutto è accostato con grazia e ironia, punteggiato di osservazioni che potrebbero sembrare serie e quasi professorali se non s’intuisse il sorriso nascosto fra le righe. Perfetta, in questo senso, la copertina scelta per il volume Adelphi, che raccoglie l’edizione ampliata del Manual de zoología fantástica: il quadro di Dalì intitolato «Shirley Temple, più sacro mostro del cinema del suo tempo», che ritrae il piccolo fenomeno del tip tap in veste di sfinge antropofaga.Ma è nell’appendice che lo scrittore argentino inserisce la sua pagina più autentica, là dove illustra la strana eresia metafisica dei «Laudatores temporis acti» descritti nel Seicento dal portoghese Luiz da Silveira: adoratori del passato, questi filosofi lo intenderebbero non come una porzione trascorsa del presente, calata nell’inarrestabile fiume della cronologia, ma come un’entità compiuta in sé e a noi inconoscibile, priva di qualsiasi rapporto con il nostro vissuto. Chiedendosi se questa setta senza nome esista ancora da qualche parte nel mondo oppure – come è probabile – sia ormai relegata nel passato, Borges si diverte a mettere in gioco, con una versione ridotta di un procedimento a lui familiare, un’ulteriore prospettiva capace di moltiplicare l’effetto del paradosso.(Gazzetta di Parma, 19 dicembre 2006)