Il Libro di Sabbia

Terra e cielo, mondi in contrasto alla fine del Rinascimento.


(Edward Muir, Guerre culturali. Libertinismo e religione alla fine del Rinascimento, Laterza 2009)Carlo Baja Guarienti-Padova, 1591. Con una serie di assalti da parte di giovani studenti – in gran parte rampolli di nobili famiglie veneziane – cominciava la protesta contro il collegio gesuitico, colpevole principalmente di aver aperto i propri corsi ai laici facendo concorrenza al prestigioso ateneo patavino: erano le prime prove di uno scontro che, nel giro di pochi anni, avrebbe portato all’espulsione dei gesuiti dalla Repubblica di Venezia e alla fioritura – tanto difficile da immaginare a pochi decenni di distanza dal Concilio di Trento – del libertinismo.Il libertinismo padovano affondava le proprie radici nell’insegnamento di Cesare Cremonini, filosofo aristotelico che condivise con l’allora meno noto Galileo Galilei la docenza, l’affiliazione all’Accademia dei Ricoverati e l’ostilità del Sant’Uffizio: fra le righe degli appunti del maestro, accusato di negare attraverso Aristotele l’immortalità dell’anima, gli allievi di Cremonini lessero la possibilità di mettere in discussione i costumi, la religione, l’autorità paterna e il  ruolo della donna nella società. In questo scenario, una sorta di laboratorio aperto per lo spazio di due generazioni alle sperimentazioni culturali più avanzate, si mossero figure straordinarie come Ferrante Pallavicino, prete ribelle dalla vita breve e avventurosa, e suor Arcangela Tarabotti, antenata delle rivendicazioni femministe.Edward Muir, docente alla Northwestern University e già autore di diversi saggi sul Rinascimento italiano, ricostruisce in Guerre culturali. Libertinismo e religione alla fine del Rinascimento (Laterza 2008, 16 €) l’ambiente delle accademie che diede origine, grazie ai mecenati libertini provenienti dalla nobiltà veneziana, alla stagione operistica culminata con «L’Incoronazione di Poppea» di Monteverdi. La protezione accordata dal Senato veneziano ai libertini e l’anonimato – simboleggiato dalle maschere del carnevale che conquistarono i palchi dei teatri – di una società abituata alla dissimulazione concorsero a rendere possibili quelle che Muir chiama «guerre culturali»: sussulti dai risvolti talora tragici, prodotti (scrive l’autore) «dalle tensioni fra il desiderio di liberazione e il bisogno di ordine, tra coloro che esploravano i limiti della tolleranza culturale sotto la tutela di Venezia e coloro che, soprattutto al di fuori di Venezia, aborrivano l’anarchia emozionale, intellettuale e spirituale che da tale tolleranza derivava».(Gazzetta di Parma, 18 giugno 2009)