non ci accontentiamo

Tre madri (da 'La buona novella' di Fabrizio De Andrè)


La scena è quella della crocifissione di Gesù, e dei due ladroni che i vangeli apocrifi chiamano Tito e Dimaco. Sotto le croci, De Andrè immagina i pensieri delle madri dei condannati a morte, animati da sentimenti uguali ma differenti nello stesso tempo. "Tito, non sei figlio di DioMa c'è chi muore nel dirti addio""Dimaco, ignori chi fu tuo padreMa più di te muore tua madre" Con soli quattro versi il genio di De Andrè racchiude e presenta il vincolo inscindibile esistente tra una madre e un figlio: la scissione forzata di questo legame, dovuta alla morte del figlio, rafforza l’identificazione di una persona nell’altra: è il figlio che muore sulla croce ma è la madre che, più di lui, muore nel salutarlo per sempre.  "Con troppe lacrime piangi, Maria,Solo l'immagine di un'agoniaSai che alla vita nel terzo giornoIl figlio tuo farà ritornoLascia noi piangere un po' più forteChi non risorgerà più dalla morte" E qui cominciano a mescolarsi sentimenti multipli. Quella che in apparenza può sembrare fede incondizionata nella divinità di Gesù, è purtroppo mascherata da una neanche troppo velata invidia verso un’altra madre che, pur piangendo insieme alle prime due donne, a differenza loro riabbraccerà il suo figlio vivo dopo soli tre giorni. Trasformando così la vera agonia vissuta dalle due madri in una semplice “immagine” della stessa. "Piango di lui ciò che mi è toltoLe braccia magre, la fronte, il voltoOgni sua vita che vive ancoraChe vedo spegnersi ora per ora E qui la grandezza di Maria che, quasi a volersi giustificare di fronte alle altre due donne, spiega che non piange la morte del figlio suo, dimostrando di credere che essa non sarà definitiva, ma di soffrire solo per ciò che, di lui, morirà. Grande testimonianza di fede è associare la parte mortale del figlio alle sue caratteristiche fisiche e corporee (le braccia, la fronte, il volto). Maria dimostra di sapere benissimo che del figlio suo morirà solo la natura umana, non quella divina. Figlio nel sangue, figlio nel cuoreE chi ti chiama nostro SignoreNella fatica del tuo sorrisoCerca un ritaglio del paradiso Per me sei figlio, vita morenteTi portò cieco questo mio ventre E ancora in quest’ultima parte della canzone si incontrano due dei sentimenti più importanti dell’intera umanità: l’amore (tra madre e figlio) e la fede. Gesù è per Maria non solo figlio nel sangue, ma anche e soprattutto nel cuore, e sa che la sofferenza di Cristo è la porta che aprirà il paradiso a molti. Come in tutte le canzoni della buona novella, è evidenziato però il fattore umano. Per comprendere a pieno la passione di Gesù bisogna prima capire che si è fatto uomo come noi, e dunque le sue sofferenze non sono meno dolorose delle nostre. Così Maria mostra di patire la morte di colui che ha cominciato ad amare fin dal concepimento e che non ha mai smesso di amare, soprattutto adesso che è condannato a morire inchiodato sulla croce.  Come nel grembo e adesso in croceTi chiama amore questa mia voce Questi due versi mi ricordano la scena più bella del film “The Passion” di Mel Gibson. Gesù sofferente cade mentre porta la croce, Maria lo vede e vorrebbe correre ad aiutarlo, fermata dai soldati romani. Contemporaneamente si vede un flashback di Gesù bambino, che prova i suoi primi passi e cade; già in quell’occasione Maria era accorsa, aiutandolo a rialzarsi. Quale migliore espressione di un amore immutato, prima nel grembo e adesso in croce? Non fossi stato figlio di DioT'avrei ancora per figlio mio" Un capolavoro non poteva che terminare con una frase meravigliosa. Queste dodici parole hanno in sé tutte le idee che abbiamo espresso finora. Sono talmente autoesplicanti che basterebbero per un’intera canzone. L’incontro tra i due sentimenti regnanti in questa canzone diventa uno scontro, essendo l’uno il limite per l’altro.