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« bambini | Buon Natale » |
La scena è quella della crocifissione di Gesù, e dei due ladroni che i vangeli apocrifi chiamano Tito e Dimaco. Sotto le croci, De Andrè immagina i pensieri delle madri dei condannati a morte, animati da sentimenti uguali ma differenti nello stesso tempo.
"Tito, non sei figlio di Dio
Ma c'è chi muore nel dirti addio"
"Dimaco, ignori chi fu tuo padre
Ma più di te muore tua madre"
Con soli quattro versi il genio di De Andrè racchiude e presenta il vincolo inscindibile esistente tra una madre e un figlio: la scissione forzata di questo legame, dovuta alla morte del figlio, rafforza l’identificazione di una persona nell’altra: è il figlio che muore sulla croce ma è la madre che, più di lui, muore nel salutarlo per sempre.
"Con troppe lacrime piangi, Maria,
Solo l'immagine di un'agonia
Sai che alla vita nel terzo giorno
Il figlio tuo farà ritorno
Lascia noi piangere un po' più forte
Chi non risorgerà più dalla morte"
E qui cominciano a mescolarsi sentimenti multipli. Quella che in apparenza può sembrare fede incondizionata nella divinità di Gesù, è purtroppo mascherata da una neanche troppo velata invidia verso un’altra madre che, pur piangendo insieme alle prime due donne, a differenza loro riabbraccerà il suo figlio vivo dopo soli tre giorni. Trasformando così la vera agonia vissuta dalle due madri in una semplice “immagine” della stessa.
"Piango di lui ciò che mi è tolto
Le braccia magre, la fronte, il volto
Ogni sua vita che vive ancora
Che vedo spegnersi ora per ora
E qui la grandezza di Maria che, quasi a volersi giustificare di fronte alle altre due donne, spiega che non piange la morte del figlio suo, dimostrando di credere che essa non sarà definitiva, ma di soffrire solo per ciò che, di lui, morirà. Grande testimonianza di fede è associare la parte mortale del figlio alle sue caratteristiche fisiche e corporee (le braccia, la fronte, il volto). Maria dimostra di sapere benissimo che del figlio suo morirà solo la natura umana, non quella divina.
Figlio nel sangue, figlio nel cuore
E chi ti chiama nostro Signore
Nella fatica del tuo sorriso
Cerca un ritaglio del paradiso
Per me sei figlio, vita morente
Ti portò cieco questo mio ventre
E ancora in quest’ultima parte della canzone si incontrano due dei sentimenti più importanti dell’intera umanità: l’amore (tra madre e figlio) e la fede. Gesù è per Maria non solo figlio nel sangue, ma anche e soprattutto nel cuore, e sa che la sofferenza di Cristo è la porta che aprirà il paradiso a molti. Come in tutte le canzoni della buona novella, è evidenziato però il fattore umano. Per comprendere a pieno la passione di Gesù bisogna prima capire che si è fatto uomo come noi, e dunque le sue sofferenze non sono meno dolorose delle nostre. Così Maria mostra di patire la morte di colui che ha cominciato ad amare fin dal concepimento e che non ha mai smesso di amare, soprattutto adesso che è condannato a morire inchiodato sulla croce.
Come nel grembo e adesso in croce
Ti chiama amore questa mia voce
Questi due versi mi ricordano la scena più bella del film “The Passion” di Mel Gibson. Gesù sofferente cade mentre porta la croce, Maria lo vede e vorrebbe correre ad aiutarlo, fermata dai soldati romani. Contemporaneamente si vede un flashback di Gesù bambino, che prova i suoi primi passi e cade; già in quell’occasione Maria era accorsa, aiutandolo a rialzarsi. Quale migliore espressione di un amore immutato, prima nel grembo e adesso in croce?
Non fossi stato figlio di Dio
T'avrei ancora per figlio mio"
Un capolavoro non poteva che terminare con una frase meravigliosa. Queste dodici parole hanno in sé tutte le idee che abbiamo espresso finora. Sono talmente autoesplicanti che basterebbero per un’intera canzone. L’incontro tra i due sentimenti regnanti in questa canzone diventa uno scontro, essendo l’uno il limite per l’altro.
Inviato da: Mon jardin
il 02/08/2013 alle 17:21
Inviato da: Anonimo
il 23/03/2008 alle 16:56
Inviato da: Anonimo
il 25/12/2007 alle 22:55
Inviato da: Anonimo
il 25/11/2007 alle 19:30
Inviato da: solopace.ale
il 24/01/2007 alle 12:13