A Room of One's Own

La buona morte


Credo di essere una persona fondamentalmente fortunata: fino ad oggi, mi é capitato solo una volta di veder morire una persona. Non che siano mancati i lutti, nel corso degli anni, per parenti e amici che se ne sono andati. Ma li ho sempre visti morti, mai veduti morire. Perché veder morire una persona, é una cosa ben diversa dal vederla morta. Vederla morire é vederne la sofferenza dell’agonia. Non ricordo chi sia stato a dire che non aveva paura della morte, perché quando ci fosse stata la morte non ci sarebbe più stato lui. Ed é proprio questo il punto: la morte é assenza di vita. Quando c’é la morte, non c’é più vita, non c’é più coscienza, non c’é più dolore. Nel dibattito di questi giorni, sul blog di Ariel63, per esempio, o su quello di SandaliAlSole e di VegaLyrae,si parla di buona morte, ma a parer mio ciò di cui ci si deve preoccupare é di avere una buona vita, non una buona morte Fondamentalmente, non é tanto la morte, a spaventare, quanto il dolore e la sofferenza nel momento del passaggio dalla vita alla morte. Perciò credo insensato l’accanimento terapeutico, che tale sofferenza e dolore prolungano indefinitamente quando non ci sia più la possibilità di recupero da parte del paziente. Di fronte a queste scelte, il problema non é per chi se ne va, credo,  ma per chi resta, che deve fare i conti con il dubbio di aver fatto davvero tutto quello che avrebbe potuto, di non aver lasciato nulla di intentato.Dicevo che solo una volta mi é accaduto di veder morire una persona. Quella persona era mio padre. Al momento in cui si é reso conto che non ce l’avrebbe fatta a uscirne, ha pregato il dottore che gli praticava l’ultima flebo che lo aiutasse a morire. Io credo che quando dovesse toccare a me, vorrei poter scegliere.