A Room of One's Own

Repetita iuvant


Leggevo il post n.348 del blog 'Iperbole', e mi stupivo di come una notizia che in nulla interferisce con la vita di chiunque non decida, volontariamente, di aderire ad una certa iniziativa, possa scatenare reazioni tanto sarcastiche e aspre. Nella mia placida indifferenza, il fatto che qualcuno decida di pregare in latino mi fa lo stesso effetto che se decidesse di pregare in aramaico o in sanscrito: son fatti suoi, che non mi riguardano. Però devo ammettere che anche per me, come per SandaliAlSole  il latino è la lingua delle preghiere di quando ero bambina: non tanto la messa, che non ricordo di aver mai sentito in latino, ma le preghiere che venivano ripetute come un mantra, in modo meccanico e a due voci, durante le visite al cimitero, o alle veglie funebri: le ‘requiem aeternam', da ripetere per cento volte, o le cinquanta 'ave maria' del rosario. Non era importante il significato delle parole, ma il suono ritmato della ripetizione. E il ritmo della frase latina non è lo stesso della frase in italiano, anche per chi il latino non lo sa: ancora oggi mi dà un senso di fastidio  sentire le litanie del rosario dette in italiano, come una stonatura, in qualche modo sbagliate. E questo nonostante che  il latino studiato a scuola sia ormai passato nel dimenticatoio, tranne che per qualche espressione proverbiale, come ‘Gutta cavat lapidem’, o “repetita iuvant’.Di cinque anni di latino al liceo alla fine non mi è rimasto che il ricordo del dizionario: un tomo di migliaia di pagine con la copertina bianca e le scritte nere, che quando c’erano i compiti in classe  non ci stava in borsa e doveva essere portato sul braccio. Devo dire però che non l’ho dovuto portare troppe volte: nel triennio, il professore che avevamo, un piccolo siciliano dal nome imponente, si accontentava di farci studiare una storia della letteratura latina scritta in italiano, neanche una antologia, solo una arida elencazione di opere e autori  e  stili, il ricordo dei quali il tempo ha fatto volar via dalla superficie della memoria come un soffio fa volare via la polvere che si è depositata sul dorso di un libro da troppo tempo non aperto.