A Room of One's Own

Ti conosco, mascherina


Viene Febbraio, e il mondo è a capo chino,ma nei convitti e in piazza lascia i dolori e vesti da Arlecchino, il carnevale impazza, il carnevale impazza... La casa dove abito è vicino all’oratorio, e oggi è la domenica di carnevale. Come ogni anno, fin dalle prime ore del pomeriggio una litania di  carri allegorici attorniati da nugoli di ragazzini mascherati e schiamazzanti  sfilano sulla strada di fronte al cancello, e si radunano nel cortile e all’esterno dell’oratorio.Non amo le feste in genere, e le feste chiassose e un po’ sguaiate meno di tutte, l’allegria ostentata mi suona forzata e falsa, e finisco sempre per sentirmi fuori posto. Però succede a volte come in quella canzone di Mina:‘quando la banda passò, volevo dire di no, ma il mio ragazzo era lì, e allora dissi di si’.Mia nipote, in un vezzoso vestito di tulle rosa, il visetto dipinto con le matite colorate, scende con la mamma per mescolarsi alla folla di vocianti mascherine. Mi fermo ad ammirarla, e ‘Zia,' mi dice, 'lo sai che anche all’asilo  facciamo la festa il giorno dopo di lunedì.?’  Mentre la guardo allontanarsi ripenso agli austeri carnevali della mia infanzia, dove tutto il travestimento consisteva in un cappello a cono, di cartone, decorato con le stelline dorate. Ricordo il piacere delle  stelle filanti, ‘soffiate’ a formare una lunga e  sinuosa spirale di carta colorata.  I ragazzi che mi passano davanti oggi le stelle filanti le fanno con bombolette spray che sparano fuori certi filamenti colorati, che in comune con quelle della mia infanzia hanno solo il nome, ma non certo la grazia di vederle srotolarsi armoniosamente,  né il piacere di poterle poi ricomporre in rotolini stretti e compatti, che poi si allungavano a formare minuscoli cornetti  e vasetti di carta.All’imbrunire, tutti i carri son tornati a casa. Sul’asfalto, un tappeto di coriandoli colorati è tutto quello che rimane della festa.