A Room of One's Own

Lucciole


Loeseri ve a bas, che ta ciama tò ghidas, che ta ciama tò sorela, loeseri ve a tera.Le  parole della filastrocca che cantavamo alle lucciole, nelle sere d’estate,  riaffiorano alla memoria  leggendo nel post di SandaliAlSole  l’attesa della sera seduti a chiacchierare, il silenzio interrotto dai rumori dei giochi dei bambini . E  mi riporto col pensiero indietro di tanti anni, ai tempi in cui anche io ero bambina, e una scena simile si ripeteva quasi ogni sera, nei lunghi mesi dell’estate, nel grande cortile su cui si affacciava la mia casa e quelle dei miei cugini, tutte cresciute intorno a quella più antica, la casa del nonno.La casa di mio nonno non era una cascina sperduta nelle campagne della Bassa : sorgeva in parte alla chiesa, a cento metri dalla piazza. Ma tutto il paese a quel tempo non era altro che una manciata di cascine strette intorno al campanile,ognuna con la sua aia, la stalla, l’orto. Le finestre di alcune stalle davano direttamente sulla strada, e passandoci accanto, per andare a scuola o per andare a fare la spesa,  si sentivano i fruscii dei movimenti degli animali all’interno, il mugghiare delle mucche, l’odore acre dello strame. E nelle sere d’estate, mentre le donne sedute in cortile prendevano il fresco chiacchierando, capitava di vedere il buio appena interrotto dalla piccola luce intermittente delle lucciole, invano inseguite dalla voce dei bambini che cercavano di prenderle:loeseri ve a bas, che ta ciama to ghidas, che ta ciama to sorela, loeseri ve a tera.